Metti un gruppone di 130 disabili, tutti in carrozzella, in un villaggio
turistico nelle settimane centrali d’agosto. Una bella sfida alla
capacità di accoglienza del territorio e dei turisti “normali”, ma anche
un’occasione, per gli stessi ragazzi, di avviarsi lungo la strada
dell’autonomia, visto che, per tanti, è la prima volta senza genitori. È
ciò che sta accadendo, in questi giorni, all’Hotel Marina Beach di
Orosei (Nuoro), scelto dall’associazione “La strada per l’arcobaleno” di
Roma (che da vent’anni si occupa di persone con spina bifida e
idrocefalo), per la vacanza comunitaria 2013. Per i partecipanti un
momento di amicizia e condivisione in uno degli angoli più belli della
Sardegna; per l’associazione una nuova occasione per andare “Alla
scoperta dell’Italia accessibile”. Si chiama così il progetto che, da
sette anni, sta portando avanti la vice-presidente Carla Marinelli, 45
anni, che si propone di tracciare una sorta di mappa dell’accoglienza
lungo le spiagge dello Stivale.
«Vogliamo abbattere le barriere
architettoniche ma anche culturali, che sono quelle più difficili da
superare per pigrizia e ignoranza – racconta –. Anche semplicemente
andando in vacanza, come tutti, vogliamo dire che ci siamo, che
desideriamo una vita piena e felice. In questi anni abbiamo abbattuto
diversi muri e anche chi, all’inizio, ci guardava con diffidenza, ora si
sta rendendo conto che i disabili sono una risorsa per la società».
Se
ne stanno accorgendo anche le famiglie che, prima timorose, ora vedono
nella vacanza un momento forte di crescita dei propri figli. «Con noi
abbiamo volontari e professionisti preparati e pronti a intervenire per
qualsiasi necessità – spiega Marinelli –. I genitori possono stare
tranquilli. In più cerchiamo di spronare i ragazzi ad essere più
autonomi, a cavarsela anche da soli».
Proprio ciò che cerca
Concetta Giambruno, 27 anni di Torino, alla sua terza vacanza con
l’associazione. Impiegata in un call center, Concetta sogna di viaggiare
e conoscere posti nuovi, portando la propria esperienza di disabile «in
mezzo alla gente». «Aspetto tutto l’anno questa settimana – dice –
perché qui ritrovo tanti amici sparsi per l’Italia. Confrontando le
nostre esperienze ci accorgiamo che tanto resta da fare per rendere il
nostro Paese davvero accessibile a tutti. Non ci accontentiamo di
trascorrere una bella vacanza, ma vogliamo che l’attenzione che troviamo
qui ci sia anche nelle nostre città».
Concetto efficacemente
espresso da Francesca Di Maria, siciliana di 53 anni, mamma di Giuseppe,
24enne con spina bifida e infermiera volontaria al seguito dei ragazzi:
«I nostri figli vogliono vivere 365 giorni all’anno». «Questi ragazzi –
aggiunge – hanno bisogno di vivere come tutti i loro coetanei, ma
spesso le famiglie non ce la fanno. Noi genitori ci sentiamo abbandonati
dalle istituzioni, che invece dovrebbero aiutarci ad accompagnare i
figli sulla strada dell’autonomia. Non chiediamo soldi ma un po’ di
attenzione in più. Non ci arrendiamo ma a volte è dura andare avanti con
serenità».
Un appello che, almeno sul versante delle
infrastrutture turistiche è stato accolto. Come testimonia Pietro Loi,
esponente di una famiglia di imprenditori del turismo tra le più
importanti della Sardegna e titolare del Marina Beach di Orosei. «La
struttura – sottolinea – è stata progettata e realizzata, una decina di
anni fa, escludendo le barriere architettoniche. E questo ci ha
permesso, fin da subito, di poter ospitare disabili, trasmettendo questa
sensibilità al nostro personale».
Loi non considera
«eccezionale», la scelta di ospitare 130 disabili in carrozzina, oltre
il 10% della capacità dell’albergo, nelle settimane centrali di agosto,
correndo il rischio di urtare la “sensibilità” degli altri turisti. E,
assicura, non è “merito” della crisi. «Li abbiamo accolti e basta»,
taglia corto. «Certo – aggiunge – chi cerca il mercato non deve porsi
limiti o creare esclusioni. Ma questo viene dopo. Per noi, prima, c’è il
rispetto della persona. Disabile o no».
Autore Paolo Ferrario
Articolo Interamente Tratto da www.avvenire.it
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