I numeri. A fotografare il pianeta immigrazione è il IV Rapporto sui lavoratori di origine immigrata negli archivi Inps, curato dai redattori del Dossier Caritas/Migrantes e presentato oggi, 9 giugno, a Roma. I lavoratori immigrati assicurati sono così ripartiti: lavoratori dipendenti da aziende (63,2%); lavoratori domestici (17,6%); operai agricoli (8,5%); lavoratori autonomi (10,8%). Tradotto: ogni 10 lavoratori immigrati, 9 sono impiegati nel lavoro dipendente e uno solo svolge attività autonoma.
Il lavoro domestico. Nel settore familiare, il supporto dei lavoratori immigrati, soprattutto donne consenta alla rete pubblica - in un Paese con almeno 2,6 milioni di persone non autosufficienti e una popolazione composta per oltre un quinto da ultrasessantacinquenni - un risparmio quantificato dal ministero del Lavoro in 6 miliardi di euro.
L'agricoltura. Anche in agricoltura la presenza immigrata, che incide per oltre un quinto sul totale degli addetti, è sempre più rilevante sia tra gli stagionali che tra gli operai a tempo indeterminato, specialmente nell'allevamento, nella floricultura e nelle serre. "In prospettiva - scrivono i ricercatori della Caritas - questo apporto dei migranti andrà valorizzato anche per favorire il ricambio generazionale dei coltivatori diretti, tra i quali più di un decimo ha superato i 65 anni".
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Le casse dell'Inps. All'ingente versamento di contributi previdenziali da parte degli immigrati (circa 7,5 miliardi di euro nel 2008), corrisponde una loro scarsa presenza tra i beneficiari di prestazioni pensionistiche: all'inizio del 2010 sono stimabili in appena 110mila i pensionati stranieri e quelli entrati in età pensionabile nel corso dell'anno incidono appena per il 2,2% sul totale dei residenti. Considerata l'età media nettamente più bassa di quella degli italiani (31,1 anni contro 43,5), questo andamento è destinato a durare per diversi anni.
La crisi. Funzionali a sostenere l'andamento del mercato, ma molto esposti alle sue variazioni, i lavoratori immigrati non sono stati risparmiati dalla recente crisi economia, specialmente se addetti al settore industriale e "hanno pagato il prezzo di una ulteriore canalizzazione verso le mansioni di più basso profilo, con effetti anche sul livello reddituale, che per diverse categorie già risultava inferiore alla soglia di povertà".
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1 commento:
Vabbè che c'entra...
Gli immigrati sono comunque forza lavoro in più che si immette in un mercato del lavoro rigido e privo di concorrenza tra i lavoratori, perché i pavimenti salariali sono stabiliti dalla legge. Dal punto di vista dei contributi non danno né più né meno di quanto darebbe un lavoratore italiano, visto che finché parliamo di lavoro regolare vengono trattati tutti allo stesso modo.
Se la gente si lamenta degli immigrati è per altri motivi:
- lavoro nero: il mercato del lavoro sommerso è ormai soltanto degli stranieri, che campano con molto meno dei lavoratori italini.
- disoccupazione: essendoci quasi tre milioni di lavoratori in più, molti italiani restano senza posto e danno la colpa della mancanza di lavoro agli immigrati.
Diverso è il caso di quegli immigrati che hanno avviato attività commerciali tipiche delle loro zone (il classico kebabbaro), che pur creando concorrenza hanno diversificato l'offerta di beni e arrecato benefici alla comunità in cui si sono inseriti. Questi qua sì che sono utili, se vogliamo metterla in termini di utilità.
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