di Marcello Ienca, youthunitedpress.com - Il blitz animalista effettuato sabato scorso dagli attivisti del movimento “Contro Green Hill”
nei laboratori di Farmacologia dell’Università Statale di Milano
rappresenta un caso che, per sostrato ideologico e modalità di
esecuzione, risulta pressoché privo di precedenti. E’ pertanto opportuno
fare chiarezza sulle dinamiche di questa protesta e delle relative
conseguenze.
Anzitutto ricostruiamo l’accaduto.
Sabato 20 aprile, in concomitanza con il corteo nazionale contro la “vivisezione”, cinque membri del gruppo “Contro Green Hill” sono entrati abusivamente nel Dipartimento di biotecnologie mediche e medicina traslazionale dell’Università degli Studi di Milano, sede in cui opera anche la sezione milanese dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche. I cinque attivisti hanno occupato lo stabulario, e dopo che alcuni si sono incatenati con il collo alle porte cosicché nessuno potesse entrare senza strozzarli, hanno impedito l’accesso a polizia e personale di ricerca. Lo scopo degli attivisti era quello di liberare tutti gli animali presenti nello stabulario, ossia centinaia di topi ed un coniglio. L’intero blitz è stato videoripreso dagli stessi attivisti e pubblicato in diretta su Facebook. Per la salvaguardia di entrambe le parti in gioco i ricercatori non hanno opposto resistenza, lasciando così che gli attivisti portassero via gli animali con l’ausilio di scatoloni.
Proprio al fine della tutela dei diritti degli animali sarebbe dunque
auspicabile che i movimenti della scena attivista riuscissero a basare
le loro proteste su una maggiore informazione, sostituendo gli infantili
slogan sentiti sabato scorso a Milano (“Vi aspettiamo sotto casa”, “Schifosi ricercatori”, “Cosa fate adesso senza i vostri giocattolini?”, “Avete allungato la vita alle persone solo per fargli pagare più tasse”) con una seria riflessione etico-scientifica, con un maggiore rispetto verso i malati e verso chi lotta ogni giorno per dare loro nuova speranza.
Sabato 20 aprile, in concomitanza con il corteo nazionale contro la “vivisezione”, cinque membri del gruppo “Contro Green Hill” sono entrati abusivamente nel Dipartimento di biotecnologie mediche e medicina traslazionale dell’Università degli Studi di Milano, sede in cui opera anche la sezione milanese dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche. I cinque attivisti hanno occupato lo stabulario, e dopo che alcuni si sono incatenati con il collo alle porte cosicché nessuno potesse entrare senza strozzarli, hanno impedito l’accesso a polizia e personale di ricerca. Lo scopo degli attivisti era quello di liberare tutti gli animali presenti nello stabulario, ossia centinaia di topi ed un coniglio. L’intero blitz è stato videoripreso dagli stessi attivisti e pubblicato in diretta su Facebook. Per la salvaguardia di entrambe le parti in gioco i ricercatori non hanno opposto resistenza, lasciando così che gli attivisti portassero via gli animali con l’ausilio di scatoloni.
Fin qui sembrerebbe un atto di
vandalismo come tanti. Certo, è stata violata una struttura privata,
appartenente all’Università, in cui si svolgevano attività di ricerca
assolutamente legali e regolamentate. Certo, sono stati minacciati dei
ricercatori nell’esercizio delle loro funzioni. Inoltre sono stati
pubblicati sul web immagini e dati, in particolare registri di stabulario, che dovrebbero essere per legge assolutamente riservati. Tuttavia sono altri i fattori che creano sconcerto.
Ciò che crea realmente sconcerto è il fatto che con questo blitz sono andati in fumo anni di ricerca scientifica e relativi finanziamenti.
Oltre al furto degli animali, gli attivisti hanno manomesso o prelevato
dati, registri, cartellini, rendendo di fatto le ricerche
irrecuperabili. In termini economici, il danno arrecato si quantifica
nell’ ordine delle centinaia di migliaia di euro ma ancor più grave è
il non-quantificabile danno
strutturale inflitto alla ricerca su alcune delle malattie più gravi che
affliggono l’umanità quali il morbo di Parkinson, di Alzheimer, la
Sclerosi Multipla e la Sclerosi Laterale Amiotrofica. Tali
ricerche erano finanziate da enti nazionali e internazionali tra cui
Telethon, l’AIRC e la Fondazione Sclerosi Multipla oltre che dalla
Comunità Europea, dal Ministero della Ricerca, e dalla Regione
Lombardia. Si sono pertanto polverizzati non solo i soldi dei
contribuenti ma anche quelli frutto di donazioni liberali raccolti da
associazioni benefiche. Il tutto in un Paese dove la ricerca scientifica
deve fare i conti costantemente con una totale mancanza di fondi e
risorse. Infine, e questa è la cosa più inaccettabile, si è arrecato un
danno enorme alle centinaia di migliaia di malati che lottano ogni giorno contro queste gravissime patologie, la cui vita dipende dagli esiti della ricerca.
Nessuno qui vuole negare che la sperimentazione animale apra delicate problematiche di tipo etico.
Tali problematiche, però, proprio per la loro delicatezza debbono
essere trattate da esperti (scienziati, bioeticisti, filosofi e
giuristi) nei luoghi competenti. La discussione bioetica sui diritti
degli animali ha portato alla approvazione in anni recenti di normative
che regolano l’uso degli animali nella ricerca, impedendone l’utilizzo
per scopi non essenziali (quali la cosmetica), migliorando enormemente
le condizioni di stabulazione, riducendo il numero delle cavie e
soprattutto bandendo l’impiego di animali dotati di complesse facoltà
mentali e di autocoscienza come le scimmie antropomorfe. Tuttavia è bene
sottolineare che nei laboratori milanesi non si stavano testando creme
antirughe bensì si stava facendo ricerca su alcune delle più gravi
malattie del sistema nervoso. E nell’ambito delle neuroscienze la
sperimentazione animale, operata nel rispetto delle normative
internazionali, è e continua ad essere la strategia di ricerca che ha apportato i progressi più considerevoli.
Nella sua paradossale azione di difendere la vita attentando alla vita, il gruppo “Contro Green Hill” ha messo in evidenza la grossolana disinformazione
attorno a cui gravita una certa parte della scena attivista. Una prova
palese ne è il continuo scagliarsi contro la “vivisezione”, ossia la
dissezione di animali vivi, una pratica da lungo tempo scomparsa dalla
ricerca medica. Ma ancor più paradossale è il fatto che nel loro tentativo di “liberare” quegli animali, essi li hanno di fatto condannati a morte.
I topi e i conigli prelevati dagli attivisti sono infatti animali
abituati a vivere in condizioni rigorose, con un sistema immunitario che
non è mai venuto a contatto con il mondo esterno. Nell’orgoglioso gesto
di esporre quegli animali all’ambiente esterno essi li hanno di fatto
esposti a patogeni letali, verso i quali quegli animali non hanno
sviluppato difese. Strana strategia di liberazione.
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