Giacomo Sintini, romagnolo, due anni dopo la scoperta di un tumore al sistema linfatico vince lo scudetto.
Dicono che nessuno scatti foto durante la scalata. Dicono che si vuole ricordare solo l’immagine della vetta, quel momento che ti toglie il fiato. Ma non è vero. Giacomo Sintini ne ha scattate a decine: i lunghi ricoveri in ospedale, l’auto trapianto di midollo osseo, i dieci mesi di cure, il suo corpo che perde chili - 21 - e capelli. Quell’infinita scalata e suo dolore, Jack - per tutti solo Jack nella pallavolo - l’ha impresso tutto. E quando domenica la Trentino volley ha vinto lo scudetto contro Piacenza, lui era in campo ad alzare palloni più precisi possibili per i suoi compagni, a tornare se stesso, due anni dopo la scoperta di un cancro al sistema linfatico. Non proprio uno dei migliori, se ne esistono.«IO CE L'HO FATTA» - «Io non sapevo neanche se sarei riuscito a sopravvivere, adesso sono campione d’Italia. Non voglio sembrare melodrammatico, però lo dico a tutte le persone che si sono ammalate di cancro: io ce l’ho fatta e non sono nessuno, sono una persona normale. Dedico questa vittoria ai medici che mi hanno curato, agli infermieri che mi hanno tenuto la mano durante la notte. La dedico a tutte le persone ammalate di cancro». Ha fede in Dio questo campione del volley. Ma di più negli eventi che ti mettono alla prova. Quegli infermieri che gli hanno tenuto la mano, lui li porta con sé sulla vetta.
LA STORIA - Giacomo Sintini è un pallavolista romagnolo, classe 1979. Un padre ginecologo e un futuro da pediatra, se non fosse che il volley arriva prima. Si specialista palleggiatore. Gioca a Ravenna, Forlì, Treviso, Perugia, Macerata, in Russia e ancora a Forlì. Vince uno scudetto e indossa la maglia della Nazionale. Poi, nel 2011, la malattia. Si cura all’ospedale di Perugia e fonda un’associazione di beneficenza che porta il suo nome: Associazione Giacomo Sintini, che raccoglie fondi destinati alla ricerca per la cura dei linfomi e della leucemia. E per il reparto di ematologia dell’ospedale di Perugia, che gli ha salvato la vita. Sposato con Alessia e padre di una bambina di 5 anni, Carolina, vive a Trento dall’inizio di questa stagione, quando il presidente di una delle migliori squadre del pianeta, in barba a tutte le logiche sportive, gli ha dato la possibilità di ricominciare. Perché una volta che hai guardato negli occhi la morte, l’hai sfidata e hai vinto, cosa vuoi che sia uno scudetto? La pallavolo è arrivata più avanti, ovvio. Quando la vita non gli sarebbe scivolata tra le mani, come un brutto palleggio. Ma avere un obiettivo, tornare alla vita di prima - non come prima, «perché sono una persona migliore» - è stata la spinta. Poi ci si è messo di mezzo il destino. Il palleggiatore titolare di Trento, il brasiliano Raphael, si frattura un dito. Tocca a Sintini andare in campo nella partita decisiva. «Mi ha detto che il suo infortunio è capitato perché doveva succedere qualcosa di bello a me». Magari non è proprio così, ma la storia di questo giocatore di volley che ha commosso l’Italia andando a vincere il tricolore dopo essere sopravvissuto al cancro, ha dimostrato che alla fine conta solo questo: la capacità di resistere, la tigna, come reagisci a quello che ti succede. Come danzi sotto la pioggia, dicono. Ed è vero.
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