(da lagiraffa.wordpress.com) |
Rapporto Censis: La solitudine di chi vive la disabilità. Due indagini su Parkinson e sindrome di Down. Pesano soprattutto indifferenza e ostacoli burocratici
Occorrono in media 17 mesi per sapere che si soffre di morbo di Parkinson; ottenuta la diagnosi, un paziente su tre non può contare su nessun aiuto e a volte “salta” le terapie, ostacolate anche dai lunghi tempi della burocrazia. Oltre la metà delle famiglie che ha in casa una persona con sindrome di Down deve trovare da sola la struttura che fornisce i servizi di riabilitazione più adeguati e circa il 40% li paga di tasca propria per carenza di strutture pubbliche. Ostacoli che fanno aumentare il senso di solitudine dei pazienti e delle loro famiglie, secondo un’indagine del Censis, realizzata nell’ambito del progetto pluriennale "Centralità della persona e della famiglia nei sistemi sanitari: realtà o obiettivo da raggiungere?" promosso dalla Fondazione Cesare Serono.
VISSUTO DEI PAZIENTI - Questa volta il rapporto dell’Istituto di ricerca, grazie anche alla collaborazione delle associazioni dei pazienti, ha dato voce alle condizioni di vita che si nascondono dietro alla disabilità. Un’indagine ha coinvolto un campione di 312 persone con morbo di Parkinson, l’altra ha riguardato un campione di 315 famiglie in cui vive una persona con sindrome di Down. «Tra gli aspetti più drammatici nella vita quotidiana di un malato di Parkinson c’è il dover assumere molte medicine, anche 7- 8 al giorno nei casi più gravi, ma anche il senso di isolamento che i pazienti avvertono», sottolinea Giuseppe De Rita, presidente del Censis.
SENTIRSI INUTILI - La gestione della terapia è complessa: un paziente su quattro almeno due volte a settimana perde il conto delle somministrazioni giornaliere, mentre uno su cinque dimentica del tutto di prendere le medicine. Un paziente su due deve farsi aiutare da qualcuno per ricordarsi di prenderle negli orari giusti. Di solito l’aiuto arriva dai familiari che vivono insieme a lui e, in un caso su 10, dalle badanti. Ma ben un paziente su tre non può contare su nessuno aiuto. «Due intervistati su tre affermano che la malattia ha modificato la propria vita sociale - afferma una delle curatrici del rapporto, Ketty Vaccaro, responsabile del settore welfare del Censis - . Il 26% dei pazienti intervistati non sono anziani». Oltre al tremore, altri sintomi non meno importanti minano la qualità della vita: difficoltà a parlare, astenia, estrema stanchezza, almeno una volta a settimana blocchi a volte improvvisi, non controllabili e spesso fonte di imbarazzo. Così, 7 pazienti su 10 si sentono isolati e uno su due avverte addirittura la sensazione di essere inutile.
IL PESO DELLA BUROCRAZIA – Come se non bastasse il peso della malattia, a volte i malati si sentono vessati anche dalla burocrazia. Circa il 30% di quelli più gravi sottolinea le difficoltà nell’accesso ai farmaci. Spiega Claudio Passalacqua, presidente di Azione Parkinson: «La trafila è spesso lunga perché occorre andare dal medico di base, poi dallo specialista che prescrive il piano terapeutico, poi alla Asl per l’autorizzazione, infine in farmacia. Un percorso a tappe che si ripete anche più volte al mese. Sulla ricetta, infatti, non possono essere prescritte più di due confezioni di farmaci che però possono finire nel giro di una decina di giorni».
LA PAURA DELLE FAMIGLIE - Problemi di altra natura, invece, per chi ha la sindrome di Down e per i loro familiari. L’indagine del Censis segnala soprattutto il forte impatto emotivo che comporta l’irruzione della malattia nella vita genitori. «Colpisce l’esplosione del senso di abbandono che assale la famiglia quando arriva la diagnosi - sottolinea De Rita - . Paura, incredulità e rabbia sono le reazioni più frequenti. Spesso per superarle si fa ricorso all’aiuto di una guida spirituale». Aiutano anche la vicinanza e l’affetto di parenti e amici e il livello di istruzione dei genitori. Secondo il rapporto è ancora inadeguata la comunicazione della diagnosi a mamma e papà, anche sotto il profilo strettamente informativo.
INCLUSIONE SCOLASTICA CON RISERVA - La scuola è un’opportunità di inclusione per i bambini down, ma non per quelli più gravi. Altri problemi per i ragazzi cominciano soprattutto quando finisce il percorso scolastico e si aggravano verso i 25 anni, quando lavora solo una persona down su tre, di solito in laboratori o cooperative sociali. Di questi, circa il 30%, però, non percepisce alcun compenso. Gli altri ragazzi, circa il 70%, non trovano lavoro e stanno a casa, spesso in completa solitudine.
ANCHE LE PERSONE DOWN CRESCONO - L’attenzione pubblica riservata di solito alle persone Down si concentra sui bambini. Ma anche loro crescono. Oggi in media una persona down vive 62 anni. Con gli anni la disabilità diventa più vincolante per le famiglie. Il “dopo di noi” preoccupa i genitori, anche perché le possibilità al di fuori del nucleo familiare sono quasi inesistenti.
Maria Giovanna Faiella
14 luglio 2011
da corriere.it
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