09 luglio 2011

La dura vita dei piccoli disabili Africani.


Ne Parliamo con una missionaria italiana in Costa d'Avorio.


Malnutrizione, povertà, gravi malattie: sono i problemi generalmente citati quando si parla di Paesi in Via di Sviluppo, con l'Africa a fare da capofila. Situazioni difficili per tutti, soprattutto per chi nasce con qualche disabilità. Perché l'assistenza è scarsa, per non dire nulla, e le opportunità di diventare autosufficienti dipendono per lo più dai contributi offerti dai Paesi sviluppati. Senza dimenticare un altro aspetto: la cultura locale tende ad attribuire alla disabilità valori negativi, frutto di convinzioni arcaiche.
Ad esempio, "Il bambino con handicap, per la cultura africana, é considerato 'bambino serpente',quindi da eliminare perché porterebbe male alla famiglia". E' la cruda testimonianza di Maria Grazia Pirrotta, suora della Congregazione della Sacra Famiglia di Spoleto, missionaria in Costa d'Avorio dal 2002.
Ogni giorno si dedica all'assistenza dei bambini con disabilità, portando avanti l'obiettivo dell'Organizzazione Internazionale "Liliane Fonds", di cui è intermediaria.
Disabilità e Paesi in Via di Sviluppo: sulla base della sua esperienza, cosa può dire di questo rapporto?"Sulla base dell'esperienza con 'Liliane Fonds' posso dire che in questi Continenti c'è sì ancora molto da fare, ma non manca l'impegno a favore dei portatori di handicap. Questa è almeno una piccola luce che dà speranza per il futuro. I disabili cominciano a uscire dall'anonimato, grazie a chi si prodiga generosamente in loro favore".
Lei è in Costa d'Avorio dal 2002. In questi anni c'è stato un miglioramento, anche minimo, nell'approccio degli abitanti alla questione della disabilità o c'è ancora molto da fare?"Da quando sono qui, molte situazioni sono cambiate in meglio, in particolare nei confronti dei portatori di handicap. Prima di tutto le loro stesse famiglie hanno incominciato ad accettarli, non vergognandosene. Tra i vari nuclei, poi, si è creata una maggior solidarietà, promuovendo l'accoglienza e il sostegno dei disabili. I giovani, che avevano difficoltà ad uscire di casa per paura del rifiuto dovuto al loro handicap, hanno cominciato ad accettarsi e a chiedersi cosa fare per poter diventare autosufficienti. Nel momento in cui c'è l'accettazione personale dell'handicap, chi li guarda e li giudica non costituisce più un problema. Ci sono comunque ancora molti pregiudizi legati alla cultura, ma tanti altri stanno per essere superati. Si tratta di un cammino lento e graduale. Una strategia che ho usato è quella di organizzare tre incontri all'anno con tutte le famiglie dei bambini e dei giovani che ho in affido. Per questa occasione coinvolgo i giovani e gli adolescenti con cui lavoro in parrocchia: mentre loro intrattengono i bambini e i giovani, io incontro le famiglie. A questo appuntamento invito anche i medici che seguono i disabili; è un'opportunità per avvicinarli alle famiglie: con l'occasione, infatti, sono disponibili a rispondere a tutte le domande e a chiarire i dubbi che le famiglie hanno sul problema 'handicap'. L'incontro, alla fine, diventa una festa per tutti. È un modo per sensibilizzare e per sfatare il problema culturale che deriva dalla disabilità".
Lei si occupa in particolare dei bambini disabili. Nel caso dei disabili adulti, quali sono le difficoltà che si trovano a dover affrontare nella vita di tutti i giorni?
"I disabili adulti sono spesso quei bambini che non sono mai stati presi in considerazione; derisi, umiliati, e spesso strumentalizzati per suscitare pietà, venendo talvolta obbligati a chiedere l'elemosina per strada. Ancora oggi ne vediamo molti mendicare; non sanno fare altro. Se queste persone ricevono in offerta qualcosa, possono almeno mangiare; diversamente, sono costrette a digiunare. Purtroppo, poi, alcuni stanno percorrendo la strada più facile ma più rischiosa della delinquenza. La famiglia  li rifiuta, e lo Stato è assente.I disabili che hanno avuto la fortuna di poter studiare hanno costituito un movimento per sensibilizzare l'opinione publica, ma non sono ancora riusciti a far valere i loro diritti. Un portatore di handicap nella scuola  non è accettato, perché non si sa come trattarlo".
Nella sua esperienza non saranno mancati momenti difficili. La guerra seguita al Colpo di Stato del 2002 è uno di questi. Guardando invece i momenti positivi, quali sono state le maggiori soddisfazioni che ricorda?
"I momenti di gioia che ho vissuto da quando sono qui sono tanti. Quello che ho sentito più emozionante è stato veder camminare un bimbo di nome Jean Noel. L'ho conosciuto che aveva 8 mesi: i suoi piedini si congiungevano, era la prima volta che vedevo un bambino cosi malformato, e la mamma piangeva sempre. Dopo l'operazione e la rieducazione, Jean Noel ha cominciato a camminare; non lo avrei mai pensato. Jean Noel è stato il primo bambino che ho preso in affido. Oggi ha 5 anni, va a scuola ed è felice".
Lei porta il suo aiuto come membro dell'organizzazione olandese "Liliane Fonds". In Italia è poco conosciuta. Quali sono le sue caratteristiche?
"La 'Liliane Fonds' è nata nel 1980, e prende il nome dalla Fondatrice Liliane Brekelmans, una donna benestante, sposata e poliomelitica dalla nascita. Mentre Liliane si trovava in vacanza,nel suo paese di nascita,con suo marito Ignazio, ha incontrato Agnese, una ragazza di 15 anni, poliomelitica come lei, con la differenza che Agnese non aveva avuto la sua stessa fortuna di essere scolarizzata, a causa della sua  estrema povertà. Questo incontro non ha lasciato indifferente Liliane, che una volta rientrata nei Paesi Bassi, insieme a suo marito ha messo da parte dei soldi ed ha organizzato delle raccolte di fondi coinvolgendo amici benestanti. Agnese, in seguito, è stata aiutata a diventare sarta, e le è stata data una macchina da cucire per essere autosufficiente. Lo scopo della Fondazione è aiutare bambini e giovani portatori di handicap nei Paesi in Via di Sviluppo,dove regna la povertà. Il limite di età dei ragazzi aiutati è 25 anni; questo per impedire che l'handicap divenga grave e intrattabile. L'aiuto consiste in cure para-medicali, operazioni, rieducazione, formazione professionale, e possibilità di un inserimento  nella società. La Fondazione attualmente si trova in piu di 90 Paesi dell'Africa, dell'Asia, e dell'America Latina. Alla famiglia del giovane disabile, l'organizzazione chiede una partecipazione alle spese. Purtroppo, mi trovo in un villaggio povero, dove il più delle volte le famiglie non arrivano ad avere i soldi per dare il contributo. Fortunatamente tanti amici benefattori italiani mi hanno aiutato. Attualmente sono arrivata ad assistere 120 bambini e giovani. Tanti ancora sono in lista d'attesa, altri sono in centri rieducativi".
Quando si sente parlare di organizzazioni che chiedono fondi per aiutare la popolazione nei Paesi in via di Sviluppo, si tende ad avere un po' di diffidenza sull'effettiva destinazione del denaro. Cosa può dire a riguardo?
"Ero in Italia quando alla televisione ho visto un concerto durante il quale venivano chiesti aiuti per l'Africa. Mi sono chiesta quanti di questi aiuti sarebbero arrivati realmente a sanare i problemi del Paese, o per lo meno ad aiutare alcuni poveri, in particolare i papà, creando microprogetti in grado di renderli autosufficienti. Io non voglio giudicare nessuno. Anch'io sto chiedendo fondi per aiutare i bambini che seguo. Anche l'Organizzazione per cui lavoro non mi conosce personalmente, e mi manda dei fondi che però devo giustificare in modo chiaro e trasparente. Certo, quando si inviano grandi somme bisognerebbe verificare se si sta realizzando quanto è stato chiesto. E' necessaria una coscienza retta che rende distaccati e capaci di donare ciò che si riceve per i poveri".
Come missionaria, qual è il suo prossimo desiderio che vorrebbe vedere esaudito?
"Il mio sogno nel cassetto è costruire un centro diurno per bambini portatori di handicap, cosicché possano usufruire di maggior aiuti. Dico 'diurno' perché permetterebbe alle mamme di lavorare e nello stesso tempo di non delegare totalmente l'educazione dei loro figli. Un centro diurno che divenga una Casa Famiglia, in cui tutti sono implicati a renderla accogliente e gioiosa".


da disabili.com

1 commento:

Ambra ha detto...

Questo post dà un po' di coraggio e di speranza per il futuro di tanti.