17 marzo 2010

Rapporto di Amnesty International, in Italia aziende che commercializzano strumenti di tortura

Ciao a tutti, oggi diffondo un comunicato di Amnesty International.



immagine tearph.wordpress.com


Un nuovo rapporto diffuso oggi da Amnesty International e dalla Omega Research Foundation presenta prove della partecipazione di aziende europee al commercio globale in "strumenti di tortura", tra cui congegni fissati alle pareti delle celle per immobilizzare i detenuti, serrapollici in metallo e manette e bracciali che producono scariche elettriche da 50.000 volt.
Il rapporto, intitolato "Dalle parole ai fatti", denuncia che queste attività sono proseguite nonostante l'introduzione, nel 2006, di una serie di controlli per proibire il commercio internazionale di materiale di polizia e di sicurezza atto a causare maltrattamenti e torture e per regolamentare il commercio di altro materiale ampiamente usato su scala mondiale per torturare.
Il rapporto verrà formalmente preso in esame domani a Brussels, nel corso della riunione del Sottocomitato sui diritti umani del Parlamento europeo. Amnesty International e la Omega Research Foundation chiedono alla Commissione europea e agli stati membri dell'Unione europea di tappare le falle legislative illustrate nel rapporto e di applicare e rafforzare la normativa esistente.
"L'introduzione di controlli sul commercio di 'strumenti di tortura', dopo un decennio di campagne da parte delle organizzazioni per i diritti umani, ha rappresentato una pietra miliare dal punto di vista legislativo. Ma tre anni dopo la loro entrata in vigore, diversi stati europei devono ancora applicarli o rafforzarli" - ha dichiarato Nicolas Beger, direttore dell'Ufficio di Amnesty International presso l'Unione europea.
"Le nostre ricerche mostrano che dal 2006, nonostante i nuovi controlli, diversi stati membri tra cui Germania e Repubblica Ceca hanno autorizzato l'esportazione di strumenti per operazioni di polizia e di controllo dei detenuti verso almeno nove paesi, in cui Amnesty International ne ha documentato l'uso per infliggere torture. Inoltre, solo sette stati membri hanno dato seguito agli obblighi legali di rendere pubbliche le loro esportazioni. Temiamo che qualche stato non li stia prendendo sul serio" - ha commentato Brian Wood, direttore del dipartimento di Amnesty International che si occupa di questioni militari, di sicurezza e di polizia.
Le scappatoie legali esistenti permettono inoltre ad alcune aziende di commercializzare strumenti che non hanno altro scopo se non quello di infliggere torture e maltrattamenti.
"Nell'ambito del loro impegno a combattere la tortura ovunque abbia luogo, gli stati membri devono passare dalle parole ai fatti, imponendo controlli davvero effettivi sul commercio di strumenti di sicurezza e di polizia e assicurando che i loro prodotti non vadano a finire nella cassetta degli attrezzi del torturatore" - ha dichiarato Michael Crowley, ricercatore della Omega Research Foundation.
Di seguito alcune delle principali conclusioni del rapporto:
tra il 2006 e il 2009, la Repubblica Ceca ha autorizzato l'esportazione di prodotti quali manette, pistole elettriche e spray chimici, mentre a sua volta la Germania lo ha fatto per ceppi e spray chimici, verso nove paesi dove le forze di polizia e di sicurezza avevano usato quei prodotti per praticare maltrattamenti e torture;
aziende italiane e spagnole hanno messo in vendita manette o bracciali elettrici da applicare ai detenuti. Una scappatoia legale permette tutto questo, nonostante si tratti di prodotti simili alle "cinture elettriche", la cui esportazione e importazione sono proibite in tutta l'Unione europea;
nel 2005 l'Ungheria ha annunciato l'intenzione di introdurre l'uso delle "cinture elettriche" nelle stazioni di polizia e nelle prigioni, nonostante la loro esportazione e importazione siano vietate in quanto il loro uso costituisce una forma di maltrattamento o di tortura;
solo sette dei 27 stati membri dell'Unione europea hanno reso pubbliche le loro autorizzazioni all'esportazione, nonostante tutti siano legalmente obbligati a farlo;
gli stati membri paiono ancora poco informati sulle attività commerciali in corso al loro interno. Dopo che cinque stati membri (Belgio, Cipro, Finlandia, Italia e Malta) avevano dichiarato di non essere a conoscenza di aziende che commercializzassero materiali inclusi nei controlli, Amnesty International e Omega Research Foundation hanno individuato aziende operanti in tre di questi cinque paesi (Belgio, Finlandia e Italia) in cui prodotti del genere vengono apertamente commercializzati su Internet.


Fine del comunicato
Roma, 17 Marzo 2010

Il mio ricordo va alle mine anti - uomo che l'Italia produceva (non so se ancora ne produciamo, chiedo aiuto a voi lettori del Blog), e alle tante morti nel mondo che ancora oggi ci sono per colpa di aziende italiane. E ora pure questo. Che schifo e che vergogna!!

Aggiornamento ore 22:21 - Nel pomeriggio, quando ho pubblicato quel comunicato stampa devo dire che sono rimasto molto scosso dalla notizia che in Italia, e siamo nel 2010, fosse permesso produrre di strumenti di tortura che, come abbiamo visto tutti in Iraq e in Afghanistan, può portare fino alla morte, tra atroci sofferenze. Mi auguro che ora con la denuncia di Amnesty International, chi di dovere faccia i controlli del caso, e se quello che Amnesty scrive è vero, beh allora che si prendano provvedimenti.

Mi auguro inoltre che Amnesty International continui a seguire questa pista, e lo farà di certo, per poi pubblicare i nomi delle aziende, e chi c'è dietro, a questo sporco crimine. Niente Barriere s'impegna a pubblicare eventuali aggiornamenti sulla vicenda.

Infine questo pomeriggio ho parlato anche di mine anti uomo. Ricordavo che l'Italia era tristemente ricordata come leader produttrice di quest'altro strumento che mutila e uccide, ancora oggi, migliaia di persone nel mondo, specie bambini. Ero e sono, l'ho ammesso, ignorante in materia per cui ho fatto una ricerca online che vi propongo cosi come l'ho trovata:
Le mine sono antiuomo: la Campagna internazionale - Nel dicembre 1997 il premio Nobel per la pace e' stato conferito alla Campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo ed alla sua portavoce Jodie Williams. Si e' trattato di un importante riconoscimento all'insieme di associazioni, gruppi e singoli individui che da alcuni anni cercano di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla questione delle mine antiuomo, sul peso economico, sociale ed umano da esse rappresentato, e sulla necessita' di uno sforzo collettivo per risolvere questo drammatico problema. Uno dei risultati più importanti raggiunti dalla Campagna Internazionale è stata la pressione su un gran numero di paesi per indurli alla firma di un trattato internazionale sulla messa al bando delle mine antiuomo. Questi sforzi sono stati coronati da successo: alla fine del '97 nella conferenza ad Ottawa è stato raggiunto un accordo per il bando totale di queste armi. Il trattato ha finora ottenuto la firma di un elevato numero di paesi partecipanti e tra questi l'Italia (ma non ancora quella di paesi importanti quali gli USA e la Cina).
Questi risultati, per quanto significativi, non devono far perdere di vista le dimensioni del problema che la comunità internazionale ha ancora di fronte a sé. Infatti, anche se queste armi fossero definitivamente messe al bando in tutto il pianeta (e siamo ancora lontani dal raggiungimento di questo obiettivo), resterebbe ancora aperto il problema dell'eliminazione delle mine già disseminate in un gran numero di paesi .

La Convenzione di Ottawa - Tra i paesi che non hanno firmato la convenzione di Ottawa per la proibizione dell’uso, dello stoccaggio, della produzione e del commercio delle mine antipersona e per la loro distruzione vale la pena di ricordare: Cuba, Stati Uniti, Russia, Turchia, Egitto, Israele, Marocco, Eritrea, Somalia, Nigeria, Cina e India. Il trattato approvato nel 1997 ad Ottawa è oggi stato firmato da tra quarti dei paesi del mondo, 138, mentre le ratifiche sono 101. Gli stati produttori sono passati da 54 a 16. I territori sminati sono stati 168 milioni di metri quadrati. Secondo i dati del rapporto 2000 ci sono oltre 250 milioni di mine negli arsenali delle forze armate di 105 paesi, in particolare Cina [110 milioni] e Russia [60/70 milioni]. Tra gli stati firmatari l’Italia mantiene il primato del numero di mine conservate nei magazzini delle forze armate [4,8 milioni]. Nel 1999 sono state distrutte circa 22 milioni di mine antipersona in 50 paesi. Solo diciassette di questi stati hanno eliminato completamente le riserve di mine.
Tra i 138 paesi firmatari, solo 48 stati hanno provveduto a pubblicare un rapporto sulla stato di attuazione della convenzione pur essendone tutti obbligati.
L’Africa sub-sahariana è la regione con il più alto numero di mine ancora in uso, in particolare in Angola, Burundi, Sudan, Etiopia, Congo ex-Zaire, Ruanda, Uganda e Zimbabwe. Ma sono Afghanistan, Cambogia e Myanmar i paesi con il più alto numero di vittime. Il ricorso più massiccio nell’ultimo anno e mezzo si è registrato in Cecenia e Kosovo. Le nazioni del mondo ancora contaminate sono 88.

Un problema ancora aperto - La quantità totale di mine già disseminate è ovviamente molto difficile da valutare; si può tuttavia assumere come dato di partenza la stima fornita dalle Nazioni Unite che, per quanto grossolana, indica comunque l'ordine di grandezza del problema. Questa stima indica in circa 100 milioni in 62 paesi il numero delle mine antiuomo disseminate finora, mentre il numero di quelle introdotte ogni anno sembra collocarsi attualmente fra 500.000 e un milione. Negli ultimi 10-20 anni il problema ha assunto dimensioni particolarmente drammatiche per il gran numero di guerre civili e conflitti etnici durante i quali queste armi sono state utilizzate indiscriminatamente e al di fuori delle regole tradizionali d'impiego delle forze armate, che prevedono la stesura e la conservazione di mappe dei campi minati, utili per la successiva disinfestazione. Possiamo qui ricordare a scopo esemplificativo, l'Angola, il Mozambico, la Cambogia, l'Afghanistan, la ex Jugoslavia, ecc.
La produzione delle mine antiuomo è stimata in 5-10 milioni ogni anno, ripartita su un centinaio di produttori in 55 paesi. Il numero di mine distrutte ogni anno nelle operazioni di sminamento, si colloca invece, tra 100.000 e 200.000. Con questi ritmi, occorrerebbero centinaia di anni per eliminare completamente questi ordigni dai paesi nei quali essi sono presenti.
Un altro punto importante da sottolineare è che, mentre le tecniche di sminamento per scopi militari possono ritenersi efficaci e facilmente disponibili, quelle per scopo umanitario lo sono molto meno.
Infatti lo sminamento militare, che ha come scopo solo l'apertura di corridoi praticabili in mezzo a campi minati, non è affatto accettabile per gli standard richiesti dalle operazioni umanitarie. Queste ultime, invece, richiedono una bonifica del territorio virtualmente del 100 %, dal momento che il principale problema di natura umanitaria è la restituzione di vasti territori all'attività e alla praticabilità economica, commerciale ed umana in generale.
L'impatto delle mine antiuomo sulla vita delle popolazioni locali è in realtà devastante dal momento che la loro presenza rende impraticabili all'agricoltura e alla mobilita' vasti territori con effetti economici e psicologici enormi. Per non parlare del peso che tutto ciò impone al sistema sanitario e sociale dei paesi più colpiti, le cui condizioni finanziarie, come e' facile immaginare, sono spesso drammatiche. Ad esempio il costo degli arti artificiali necessari ad una persona mutilata da una mina viene stimato oggi attorno a 3000 dollari. Se si tiene conto del gran numero di questi invalidi (ad esempio in Cambogia, sul cui territorio si stima che vi siano fra 4 e 7 milioni di mine, una persona su 236 e' stata mutilata da una mina), si può avere un'idea delle dimensioni del problema.
I progressi tecnologici hanno, peraltro, molto peggiorato la situazione: l'attuale generazione di mine è costruita con materiali plastici che le rendono estremamente difficili da rivelare con i mezzi più diffusi. Per non parlare delle mine, già disponibili, che contengono sofisticati congegni che le rendono pericolosissime anche da cercare e rimuovere, costituendo così un grave problema anche per le squadre di sminatori professionisti. Gli attuali sistemi di rivelazione, peraltro, hanno un'efficienza che si colloca fra il 60 ed il 90 % per mine che contengono un minimo di metallo: lontano quindi dai livelli richiesti da una bonifica per scopi umanitari. Tutto questo rende lo sminamento difficile, pericoloso e molto costoso.
I metodi attualmente utilizzati per la rivelazione delle mine depositate sotto il livello terrestre sono essenzialmente due. Il primo è basato sull'olfatto di cani o maiali addestrati a riconoscere mine inesplose: il secondo, utilizzabile solo per mine metalliche, sfrutta le variazioni di campo magnetico generate dalla presenza di masse metalliche nel raggio d'azione del rivelatore.
Altri sensori sono pero' allo studio.

Le cifre della barbarie - mine antiuomo inesplose 100.000.000; persone mutilate o uccise ogni anno 15.000; costo medio di una mina (lire) 15.000; costo medio per disattivarla (lire) 10.000.000; mine prodotte ogni anno 10.000.000; paesi inquinati da mine 62

I Paesi più colpiti sono: Cambogia, Afganistan, Angola, Mozambico, ex-Jugoslavia, Sudan, Somalia, El Salvador, Kurdistan, Kuwait.
Per sminare completamente l'Afganistan agli attuali ritmi occorrerebbero circa 4.300 anni.
Un'indagine (fonte: Croce Rossa Internazionale) realizzata in Afghanistan sui feriti delle mine antiuomo chiarisce che la maggioranza delle vittime mine sono civili. Solo il 13% dei feriti era costituito da militari. Le vittime delle mine erano state colpite per l'8% durante il gioco, per il 20% durante il lavoro nei campi, per il 15% durante i viaggi, per il 4% durante lo sminamento, per il 38% durante attività non militari; il 2% degli intervistati non ha risposto.
Sulla base dei dati risulta che le vittime della guerra oggi sono:
7% i combattenti 34% i bambini 26% gli anziani 16% le donne 17% gli uomini (non combattenti)
Oggi sono i civili a pagare per le follie dei signori della guerra. Nella prima guerra mondiale, all'inizio del secolo, i civili rappresentarono il 15% delle vittime. Come si può dunque notare la situazione oggi si è capovolta rispetto all'inizio del secolo e per questo la guerra "moderna" è diventata molto più disumana e ripugnante perché a farne le spese sono gli innocenti.

Semplicemente Agghiacciante

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2 commenti:

Raimondo - Niente Barriere ha detto...

Mi sembra che questo post possa essere gemellato purtroppo con il post dedicato alle servitù militari in Sardegna

http://raimondoorru.blogspot.com/2010/03/armi-salute-misteri-e-segreti-armi-del.html

@enio ha detto...

questa mattina ho sentito la notizia alla radio e non ci volevo credere... adesso lo leggo anche nel tuo blog. E' proprio vero che l'uomo è l'animale più bastardo che ci sia sulla terra!