09 marzo 2010

La tecnica del colpo di stato "colorato"

I recenti fatti che hanno portato all'approvazione, con firma nella notte del Presidente Napolitano, del Decreto Interpretativo, sta portato tante persone in italia, a scendere in strada per protestare contro l'ennesima legge fatta a solo uso e consumo della politica.

Un fenomeno non nuovo in Italia, ma la vera novità è queste persone non si identificano più in una collocazione partitica esistente, questo perché è altissimo l'alto grado di sfiducia nei partiti attuali, ma queste persone preferiscono organizzarsi spontaneamente, per lo più grazie all'aiuto di internet, e si identificano sventolando delle bandiere di un unico colore, o semplicemente indossando dei vestiti di quel colore: Il Viola.

Nasce in italia Il popolo viola.


foto fonte netnews24.it

Il fenomeno di scendere in piazza e protestare, cercando di rovesciare un regime o per chiedere più democrazia, identificandosi con un colore, non è nuovo nel mondo. E' successo recentemente in Iran (verde) e nel passato in Ucraina (arancione). Su Facebook, e precisamente nel gruppo intitolato Stop The War, ho trovato un interessantissimo articolo tradotto in italiano e scritto da John Laughland (fonte http://www.tlaxcala.es), che ne parla in modo dettagliato ed esaustivo. Ve lo posto qua sotto, buona lettura:
La tecnica del “colpo di stato colorato”
di John LAUGHLAND.

Tradotto e commentato da Curzio Bettio,

La tecnica di un colpo di stato, a cui più di recente si fa riferimento anche con “rivoluzione colorata”, trova riscontro delle sue origini in una ricca letteratura che ci fa risalire agli inizi del XX secolo. È stata applicata con successo dai neo-conservatori statunitensi per preparare il terreno a “cambiamenti di regime” in una serie di repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Comunque, la tecnica ha avuto un effetto contrario a quello desiderato quando è stata tentata in ambienti culturali diversi (Venezuela, Libano, Iran).
John Laughland, che per il Guardian ha prodotto articoli su alcune di queste operazioni, accende una nuova luce su questo fenomeno.

Nel corso di questi ultimi anni, tutta una serie di “rivoluzioni” è esplosa in differenti parti del mondo.

Georgia
Nel novembre 2003, il presidente Edouard Chevardnadze è stato rovesciato in seguito a manifestazioni e ad asserzioni non comprovate di elezioni presidenziali truccate.

Ucraina
Nel novembre 2004, manifestazioni – la cosiddetta “Rivoluzione arancione” – hanno avuto inizio nel momento in cui venivano formulate accuse consimili di elezioni truccate. Il risultato è stato che il paese ha perso il suo antico ruolo geopolitico di ponte fra l’Est e l’Occidente ed è stato sospinto verso un’adesione alla NATO e all’Unione Europea. Considerato che la Kievan Rus è stato il primo Stato russo e che l’Ucraina attualmente ha assunto una posizione contraria alla Russia, siamo in presenza di un avvenimento storico.
Tuttavia, come affermava George Bush, “voi siete sia con noi che contro di noi”. Benché l’Ucraina abbia inviato un contingente di truppe in Iraq, evidentemente è stata considerata ancora troppo amica di Mosca.

Libano
Poco dopo le dichiarazioni da parte degli Stati Uniti e dell’ONU che le truppe siriane dovevano ritirarsi dal Libano, e successivamente all’assassinio di Rafik Hariri, le manifestazioni di Beirut sono state presentate come la “Rivoluzione dei Cedri”. Un’enorme contro-manifestazione di Hezbollah, il più importante partito filo-siriano, passava sotto silenzio nello stesso momento in cui la televisione mostrava senza fine la folla anti-siriana.
Esempio particolarmente eclatante di malafede orwelliana, la BBC spiegava ai telespettatori che “Hezbollah, il più grande partito politico del Libano, è fino a questo momento la sola voce dissidente che sostiene la permanenza dei Siriani nel Libano.”
Com’è possibile che la maggioranza popolare possa essere una “voce dissidente”? [1]

Kirgizistan
Dopo le “rivoluzioni georgiana ed ucraina”, numerosi sono coloro che predicevano che l’ondata di “rivoluzioni” si sarebbe abbattuta sulle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. E questo è quello che è avvenuto.
I commentatori sono sembrati divisi sulla questione di sapere quale colore attribuire all’insurrezione di Bichkek: rivoluzione “dei limoni” o dei “tulipani”? Non sono riusciti a mettersi d’accordo.
Ma erano sicuramente d’accordo su un punto: queste rivoluzioni sono “fredde”, anche se sono violente. Infatti, il presidente del paese, Askar Akaïev, è stato rovesciato il 24 marzo 2005 e i contestatori hanno preso d’assalto il palazzo presidenziale e lo hanno saccheggiato.

Uzbekistan
Quando ribelli armati si impadronirono di edifici governativi, liberarono dei prigionieri e presero ostaggi nella notte fra il 12 e il 13 maggio 2005 nella città uzbeka di Andijan (situata nella valle di Ferghana dove i torbidi si erano innescati parimenti per il vicino Kirgizistan), la polizia e l’esercito accerchiarono i ribelli e ne risultò uno stallo che procedette per lungo tempo. Vennero condotti negoziati con i ribelli, i quali non cessavano mai di rincarare le loro rivendicazioni.
Quando le forze governative li attaccarono, i combattimenti produssero qualcosa come 160 morti, di cui 30 fra le forze di polizia e dell’esercito.
Nondimeno, i media occidentali immediatamente presentarono in maniera distorta questi scontri violenti, pretendendo che le forze governative avessero aperto il fuoco su dei contestatari disarmati, sul “popolo”.
Questo mito, che si ripete senza posa, della rivolta popolare contro un governo dittatoriale è accettato a destra come a sinistra dello schieramento politico.
Una volta, il mito della rivoluzione era manifestamente riservato alla sinistra, ma quando il putsch violento ha avuto luogo nel Kirgizistan, il Times si è tanto entusiasmato a proposito delle scene di Bichkek, che ricordavano all’articolista i film di Eisenstein sulla rivoluzione bolscevica; il Daily Telegraph esaltava la “presa del potere da parte del popolo” e il Financial Times faceva ricorso ad una metafora maoista ben conosciuta quando vantava la “lunga marcia del Kirgizistan verso la libertà”.
Una delle idee chiave che stanno alla base di questo mito è naturalmente quella che il “popolo” appoggia questi avvenimenti e che questi ultimi sono spontanei. In realtà, sicuramente, queste sono operazioni ben concertate, spesso messe in scena tramite i mezzi di comunicazione, e, di abitudine, create e controllate da reti transnazionali di organizzazioni non governative, che sono strumenti del potere dell’Occidente.

La letteratura sui colpi di Stato
Il mito della rivoluzione popolare spontanea perde la sua pregnanza in considerazione della vasta letteratura sui colpi di Stato e sulle principali tattiche utilizzate per provocarli.
Ben inteso, è stato Lenin a sviluppare la struttura organizzativa dedicata al rovesciamento di un regime, struttura che attualmente ci è nota sotto il nome di partito politico.
Lenin differisce da Marx per il fatto che non pensava che il cambiamento storico avvenisse come risultato di forze anonime ineluttabili. Lenin pensava che era necessario provocare il cambiamento.
Ma è stato probabilmente Curzio Malaparte che per primo, nel suo Tecnica del colpo di Stato, ha dato una forma celebre a queste idee [2].
Pubblicato nel 1931, questo libro presenta il ribaltamento di regime come una procedura tecnica. Malaparte era in disaccordo con coloro che pensavano che i cambiamenti di regime avvenivano spontaneamente.
Egli inizia il suo libro riportando una discussione fra diplomatici a Varsavia nella primavera del 1920.
La Polonia era stata invasa dall’armata rossa di Trotskij, (comunque la Polonia aveva invaso l’Unione Sovietica occupando Kiev nell’aprile 1920), e i bolscevichi erano alle porte di Varsavia.
La discussione aveva luogo fra il ministro della Gran Bretagna, Sir Horace Rumbold, e il Nunzio papale, Monsignor Ambrogio Damiano Achille Ratti (che due anni più tardi sarebbe divenuto Papa con il nome di Pio XI).
L’Inglese affermava che la situazione politica interna alla Polonia era così caotica che era inevitabile una rivoluzione e che il corpo diplomatico doveva abbandonare la capitale e rifugiarsi a Poznan. Il Nunzio non era d’accordo, insistendo sul fatto che una rivoluzione era senza dubbio possibile in un paese civilizzato come l’Inghilterra, l’Olanda o la Svizzera e non in un paese in preda all’anarchia. Naturalmente, l’Inglese era sconvolto all’idea che una rivoluzione potesse scoppiare in Inghilterra. “Mai!” sbottò.
I fatti gli hanno dato torto, visto che in Polonia non è scoppiata alcuna rivoluzione e questo, secondo Malaparte, perché le forze rivoluzionarie non erano sufficientemente ben organizzate. Questo aneddoto permette a Malaparte di accostarsi alle differenze tra Lenin e Trotskij, due esperti in colpo di Stato. Egli sottolinea come il futuro Papa avesse ragione e che era sbagliato affermare essere necessarie certe condizioni perché avvenga la rivoluzione.
Per Malaparte, come per Trotskij, è possibile provocare un cambiamento di regime non importa in quale paese, anche nelle democrazie stabili dell’Europa occidentale, a condizione che vi sia un gruppo di uomini sufficientemente determinati ad effettuarlo.

Fabbricare il consenso
Questo ci porta a fare riferimento ad altri testi relativi alla manipolazione mediatica.
Lo stesso Malaparte non affronta questo aspetto, che però a) risulta decisamente importante e b) costituisce un elemento della procedura tecnica utilizzata per i cambiamenti di regime, anche al giorno d’oggi.
A dire il vero, il controllo dei media durante un capovolgimento di regime è così importante che una delle caratteristiche di queste rivoluzioni consiste nella costruzione di una realtà virtuale. Il controllo di questa realtà è esso stesso uno strumento di potere, tanto che al momento dei colpi di Stato classici nelle “repubbliche delle banane”, la prima cosa di cui si impadronivano i rivoluzionari era la radio.
Attualmente, le persone provano ancora una forte ripugnanza ad accettare l’idea che gli avvenimenti politici siano deliberatamente manipolati.
Questa stessa ripugnanza è un prodotto dell’ideologia dell’informazione, che lusinga la vanità delle persone e le induce a credere di avere accesso ad una somma considerevole di informazioni.
In effetti, l’apparente diversificazione di informazioni derivate dai media moderni nasconde una estrema povertà delle fonti originali, nella stessa maniera in cui una strada piena zeppa di ristoranti su una spiaggia della Grecia può nascondere la realtà di un’unica cucina nel retrostante.
Le informazioni sugli avvenimenti importanti provengono spesso da un’unica fonte, quasi sempre da un’agenzia di stampa, e anche coloro deputati alla diffusione delle informazioni, come la BBC, si accontentano di riciclare le informazioni ricevute da queste agenzie, comunque presentandole come farina del loro sacco.
I corrispondenti della BBC spesso stanno nelle loro camere di albergo quando spediscono i loro dispacci, leggendo per gli studi di Londra le informazioni che sono state loro trasmesse da colleghi in Inghilterra, che a loro volta le hanno ricevute da agenzie di stampa.
Un secondo fattore che spiega la ripugnanza a credere alla manipolazione dei media è legato al sentimento di onniscienza che la nostra epoca di mezzi di comunicazione di massa ama assecondare: criticare le informazioni della stampa è come dire alle persone che sono credulone, e questo messaggio non è gradevole da ricevere.
La manipolazione mediatica ha molteplici aspetti. Uno dei più importanti è l’iconografia politica. Questa è uno strumento molto importante utilizzato per difendere la legittimità dei regimi che hanno preso il potere attraverso una rivoluzione. Basti pensare ad avvenimenti emblematici, come la presa della Bastiglia del 14 luglio 1789, l’assalto al Palazzo d’Inverno durante la rivoluzione dell’ottobre 1917, o la marcia su Roma di Mussolini del 1922, per rendersi conto che certi avvenimenti possono essere elevati al rango di fonti pressoché eterne di legittimità.
Ciononostante, l’importanza della costruzione politica di immagini va ben al di là dell’invenzione di un emblema specifico per ciascuna rivoluzione. Essa implica un controllo molto più rigoroso dei mezzi di informazione e generalmente questo controllo deve essere esercitato su un lungo periodo, non solamente al momento del cambiamento di regime.
Risulta veramente essenziale che la linea del partito venga ripetuta ad nauseam.
Un aspetto della cultura mediatica di questo periodo, che numerosi dissidenti denunciano alla leggera, è che le opinioni degli oppositori possono venire espresse ed anche pubblicate, ma questo avviene precisamente perché, non rappresentando solo che gocce d’acqua in un oceano, queste non rappresentano mai una minaccia per la marea propagandistica.

Willi Münzenberg
Uno dei maestri moderni del controllo dei mezzi di comunicazione è stato il comunista tedesco, da cui Goebbels ha appreso il suo mestiere, Willi Münzenberg.
Münzenberg non è stato solamente l’inventore della manipolazione, ma anche il primo ad avere messo a punto l’arte di creare una rete di giornalisti formatori di opinioni, per diffondere le idee funzionali alle necessità del Partito comunista tedesco e dell’Unione Sovietica. Con ciò, fece una fortuna edificando un vasto impero mediatico.
Münzenberg è stato coinvolto nel progetto comunista fin dall’inizio. Apparteneva al circolo ristretto dei compagni di Lenin a Zurigo e nel 1917 accompagnò il futuro capo della rivoluzione bolscevica dalla stazione centrale di Zurigo alla stazione di Finlandia a San Pietroburgo in un treno piombato, con l’aiuto delle autorità imperiali germaniche.
Lenin richiese a Münzenberg di combattere la pubblicità deleteria suscitata dalla situazione di emergenza spaventosa del 1921, che sconvolgeva lo Stato sovietico di recente instaurato, per cui 25 milioni di contadini della regione del Volga rischiavano di morire di fame.
Münzenberg, che allora era rientrato a Berlino, dove in seguito veniva eletto come deputato comunista al Reichstag, fu incaricato di creare una organizzazione di soccorso operaio, il Foreign Committee for the Organisation of Worker Relief for the Hungry in Soviet Russia – Comitato Estero per l’organizzazione del Soccorso Operaio contro la fame nella Russia Sovietica, il cui obiettivo era quello di far credere che i soccorsi umanitari provenivano da fonti diverse dalla Herbert Hoover’s American Relief Administration – Amministrazione di Herbert Hoover del Soccorso Americano.
Lenin temeva non solamente che Hoover utilizzasse il suo progetto umanitario per inviare spie nell’URSS, (cosa che effettivamente avvenne), ma ugualmente – fattore forse più importante – che il primo Stato comunista al mondo non dovesse soffrire fatalmente della pubblicità negativa dovuta al fatto che l’America capitalista gli veniva in aiuto a qualche anno dalla Rivoluzione.
Münzenberg, dopo avere ottenuto un grande successo nella raccolta di fondi e cibo per le vittime della carestia russa, rivolse la sua attenzione verso attività di propaganda più generali.
Innalzò un vasto impero mediatico, conosciuto sotto il nome di “Trust Münzenberg”, che possedeva due quotidiani a larga diffusione in Germania, una rivista settimanale di massa e aveva interessi in altre pubblicazioni nel mondo.
Si mise in luce in modo particolare nel mobilitare l’opinione pubblica mondiale contro l’America in occasione del processo a carico di Sacco e Vanzetti (i due immigrati italiani anarchici condannati a morte innocenti per omicidio nel Massachusetts nel 1921) e nel contrastare l’idea propagandata dai nazisti secondo cui l’incendio del Parlamento tedesco, il Reichstag, nel 1933, fosse opera di un complotto comunista. Ricordiamo che i nazisti presero come pretesto questo incendio per procedere ad arresti e ad esecuzioni in massa di comunisti. (Attualmente si pensa che il fuoco sia stato appiccato in realtà a titolo individuale dall’uomo che fu immediatamente arrestato nell’edificio, un piromane di nome Martinus van der Lubbe).
Münzenberg riuscì a convincere una parte importante dell’opinione pubblica attraverso una menzogna opposta a quella dei nazisti, vale a dire che quelli che avevano dato fuoco erano gli stessi nazisti che cercavano un pretesto per sbarazzarsi dei loro principali avversari.
Il fatto più importante per la nostra epoca è che Münzenberg comprese bene come sia importante influenzare i facitori di opinioni.
Egli prendeva essenzialmente come obiettivo gli intellettuali, partendo dall’idea che erano i più facili da influenzare in ragione della loro grande vanità. In modo particolare, aveva contatti con un gran numero di personalità del mondo letterario degli anni Trenta. Münzenberg ne incoraggiò molti a sostenere i Repubblicani durante la guerra civile spagnola e a fare di questa lotta una causa celebre dell’antifascismo comunista.
Attualmente, la tattica di Münzenberg riveste una grande importanza nella manipolazione dell’opinione pubblica in favore del Nuovo Ordine Mondiale.
Più che mai, “esperti” fanno la loro comparsa sui nostri piccoli schermi per delucidarci sugli avvenimenti e costoro sono sempre veicoli della linea ufficiale di qualche partito o fazione. Essi vengono tenuti sotto controllo con modalità differenti, generalmente con il denaro o con lusinghe.

Psicologia della manipolazione dell’opinione pubblica
Esiste tutta una serie di opere che puntano il dito su un aspetto un po’ differente dalla tecnica specifica messa a punto da Münzenberg. Si tratta delle modalità con cui si inducono le persone ad agire collettivamente, ricorrendo a stimoli di natura psicologica.
Potrebbe essere che il primo teorico importante in questa materia sia stato il nipote di Freud, Edward Bernays, che scriveva nella sua opera Propaganda, apparsa nel 1928, come fosse del tutto naturale e giustificato che i governi plasmassero la pubblica opinione per fini politici [3].
Il primo capitolo porta il titolo rivelatore seguente: “Organizzare il caos”.
Per Bernays, la manipolazione consapevole ed intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse è un elemento importante delle società democratiche.
Coloro che manipolano i meccanismi segreti della società costituiscono un governo invisibile, che rappresenta il potere effettivo. Noi siamo eterodiretti, i nostri pensieri sono condizionati, i nostri gusti sono costruiti ad arte, le nostre idee sono suggerite essenzialmente da uomini di cui noi non abbiamo mai inteso parlare. È la conseguenza logica della maniera in cui la nostra società democratica è strutturata.
Un grande numero di esseri umani devono cooperare per potere vivere insieme in una società che funzioni bene. In quasi tutti gli atti della nostra vita quotidiana, che si tratti della sfera politica, di affari, dei nostri comportamenti sociali o delle nostre concezioni etiche, noi siamo dominati da un numero relativamente ridotto di persone che conoscono i processi mentali e le caratteristiche sociali delle masse. Sono queste persone che controllano la pubblica opinione.
Per Bernays, molto spesso questi membri del governo invisibile non conoscono essi stessi chi sono gli altri membri. La propaganda è il solo mezzo per impedire all’opinione pubblica di sprofondare nel caos.
Bernays ha continuato a lavorare su questo argomento dopo la guerra e nel 1947 ha pubblicato The Engineering of Consent – La costruzione del consenso [4], titolo al quale Edward Herman e Noam Chomsky hanno fatto riferimento quando hanno pubblicato nel 1988 la loro opera importantissima La fabrique du consentement [5].
Il rapporto con Freud è decisivo in quanto, come andremo ad esaminare, la psicologia è uno strumento capitale per influenzare l’opinione pubblica.
Secondo due degli autori che hanno collaborato a La fabrique du consentement, Doris E. Fleischmann e Howard Walden Cutler, ogni leader politico deve fare appello alle emozioni umane primarie al fine di manipolare le opinioni.
L’istinto di conservazione, l’ambizione, l’orgoglio, la bramosia, l’amore per la famiglia e per i bambini, il patriottismo, lo spirito di imitazione, il desiderio di comando, il gusto dell’azione, così come altri bisogni, sono le materie brute psicologiche che ciascun leader deve prendere in considerazione nei suoi tentativi per conquistare l’opinione pubblica alle sue idee.
Per mantenere la fiducia nei leader, la maggior parte delle persone hanno necessità di essere sicuri che tutto quello in cui credono sia corrispondente al vero.
Questo era quello che Münzenberg aveva ben compreso: il bisogno fondamentale degli uomini di credere in ciò che essi vogliono credere. Thomas Mann faceva allusione a questo fenomeno quando attribuiva l’ascesa di Hitler al desiderio collettivo del popolo tedesco di credere ad un “racconto di fate” che dissimulava la squallida realtà.
Su questo argomento, meritano di essere citate altre opere che non trattano per ragioni temporali della propaganda elettronica moderna ma che si rivolgono piuttosto verso la psicologia delle masse. Pensiamo ai classici come la Psychologie des foules – Psicologia delle masse di Gustave Le Bon (1895) [6], Masse und Macht – Massa e potere d’Elias Canetti (1960) [7] e Le viol des foules par la propagande politique – Lo stupro delle folle da parte della propaganda politica di Serge Tchakhotine (1939) [8].
Tutte queste opere fanno abbondante riferimento alla psicologia e all’antropologia. Non bisogna dimenticare l’opera grandiosa dell’antropologo René Girard, i cui scritti sulla logica dell’imitazione (mimesis) e sulle azioni violente collettive sono eccellenti strumenti per comprendere perché l’opinione pubblica può tanto facilmente essere indotta a sostenere la guerra e altre forme di violenza politica.

Tecnica della formazione dell’opinione pubblica
Dopo la guerra, numerosissime tecniche messe a punto dal comunista Münzenberg furono adottate dagli Stati Uniti, come dimostrato in modo magnifico dall’eccellente lavoro di Frances Stonor Saunders, Qui mène la danse ? La CIA et la Guerre froide culturelle – Chi conduce la danza? La CIA e la Guerra fredda culturale [9].
Saunders spiega in maniera estremamente dettagliata come, all’inizio della Guerra fredda, gli Statunitensi e i Britannici dettero inizio ad una importante operazione clandestina destinata a finanziare intellettuali anti-comunisti. [10].
L’elemento fondamentale è che essi concentrarono la loro attenzione su alcune personalità della sinistra, soprattutto su trotskisti che non avevano mai smesso di sostenere l’Unione Sovietica, se non nel 1939 quando Stalin firmò il Patto di non-aggressione con Hitler, e che avevano spesso collaborato in precedenza con Münzenberg.
Un gran numero di queste persone, che si situavano al punto di congiunzione fra il comunismo e la CIA all’inizio della Guerra fredda, sono divenuti dei neo-conservatori di primo piano, in particolare Irving Kristol, James Burnham, Sidney Hook e Lionel Trilling [11].
Le origini di sinistra, per meglio dire trotskiste, del neo-conservatorismo sono conosciute, anche se continuo ad essere sorpreso da nuovi particolari che vado scoprendo, ad esempio che Lionel e Diana Trilling sono stati sposati da un rabbino che considerava Felix Dzerjinski, fondatore della polizia segreta bolscevica, la Čeka ( antenata del KGB), il controaltare comunista della polizia politica di Himmler, come un modello di eroismo.
Queste origini di sinistra mantengono una relazione particolare con le operazioni clandestine evocate da Saunders, visto che l’obiettivo della CIA era precisamente quello di influenzare gli oppositori di sinistra al comunismo, vale a dire i trotskisti. Molto semplicemente, l’idea della CIA era che gli anti-comunisti di destra non avevano alcun bisogno di essere influenzati ed ancor meno di venire pagati.
Stonor Saunders cita Michael Warner quando scrive:
“Per la CIA la strategia di sostenere la sinistra anti-comunista doveva diventare il fondamento teorico delle operazioni politiche della CIA contro il comunismo nel corso dei due decenni successivi.”
Questa strategia veniva descritta in The Vital Center : The Politics of Freedom di Arthur Schlesinger (1949) [12], opera che costituisce una delle pietre angolari di quello che più tardi divenne il movimento neo-conservatore.
Stonor Saunders scrive:
“L’obiettivo di sostenere gruppi di sinistra, non era né di distruggere né di dominare questi gruppi, ma piuttosto di mantenere con loro una discreta prossimità e di dirigere il loro pensiero, di procurare loro un modo per liberarsi dalle inibizioni inconscie e, al limite, di opporsi alle loro azioni nel caso in cui fossero diventati eccessivamente… radicali.”
Le modalità attraverso cui questa influenza di sinistra fece sentire i propri effetti furono molteplici e variegate.
Gli Stati Uniti erano decisi a fornire di se stessi un’immagine progressista, che contrastasse con quella di una Unione Sovietica “reazionaria”. In altre parole, volevano mettere in attuazione le stesse cose che facevano i Sovietici.
Ad esempio, negli ambienti musicali statunitensi, Nicolas Nabokov (il cugino dell’autore di Lolita) era uno dei principali esponenti del Congresso per la libertà della Cultura.
Nel 1954, la CIA aveva finanziato un festival della musica a Roma nel corso del quale l’amore “autoritario” di Stalin per compositori russi come Rimski-Korsakov e Tchaïkovski veniva “contrato” dalla musica moderna non ortodossa ispirata dal dodecafonismo di Schoenberg. Per Nabokov, promuovere una musica che eliminava in modo eclatante le gerarchie naturali, era lanciare un chiaro messaggio politico.
Un altro progressista, il pittore Jackson Pollock, ex comunista, fu allo stesso modo sostenuto dalla CIA. I suoi “imbrattamenti” venivano considerati rappresentare l’ideologia americana di “libertà” opposta all’autoritarismo della pittura del realismo socialista.
(Questa alleanza con i comunisti aveva preceduto la Guerra fredda: il pittore di affreschi messicano comunista Diego Rivera venne patrocinato da Abby Aldrich Rockefeller ma la loro collaborazione ebbe bruscamente termine quando Rivera si rifiutò di ritirare un ritratto di Lenin da una scena di massa dipinta sui muri del Rockefeller Center nel 1933.)
Questa commistione fra la cultura e la politica venne incoraggiata apertamente da un organismo della CIA che portava un nome molto orwelliano, l’Ufficio di Strategia Psicologica, PSB.
Nel 1956, questa organizzazione sostenne una tournée europea della Metropolitan Opera (Met), che aveva lo scopo politico di incoraggiare il multiculturalismo.
L’organizzatore, Junkie Fleischmann, affermava:
“Noi, negli Stati Uniti, siamo un melting-pot e con questo dimostriamo che i popoli possono intendersi indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle o dalla loro confessione.
Utilizzando il termine melting-pot, o una qualsiasi altra espressione, noi potremo presentare il Met come un esempio per cui gli Europei immigrati negli Stati Uniti hanno potuto intendersi, e, di conseguenza, suggerire che una specie di Federazione europea è sicuramente possibile.”
Sia detto per inciso, questo è esattamente l’argomento utilizzato da Ben Wattenberg che, nella sua opera The First Universal Nation, sostiene che gli Stati Uniti possiedono un diritto particolare all’egemonia mondiale in quanto inglobano tutte le nazioni e razze del pianeta.
L’identica idea è stata espressa da Newt Gingrich e da altri neoconservatori.
Fra gli altri temi proposti, alcuni sono al centro dell’ideologia neo-conservatrice di oggi. Il primo fra questi corrisponde all’opinione autenticamente liberale di un universalismo morale e politico. Questo ha costituito il nucleo della filosofia della politica estera di George W. Bush. In numerose occasioni Bush ha dichiarato che i valori politici sono i medesimi nel mondo intero ed ha utilizzato questa affermazione per giustificare l’intervento militare in favore della “democrazia”.
Agli inizi degli anni Cinquanta, Raymond Allen, direttore dell’Ufficio di Strategia Psicologica (l’Ufficio di Strategia Psicologica fu immediatamente designato unicamente attraverso le sue iniziali PSB, senza dubbio allo scopo di tenere nascosto quello che veniva direttamente espresso dal nome intero) era già pervenuto alla seguente conclusione:
“I principi e gli ideali contenuti nella Dichiarazione di Indipendenza e nella Costituzione sono destinati ad essere esportati e costituiscono il patrimonio degli uomini in tutto il mondo. Noi dovremo orientarci verso i bisogni fondamentali dell’umanità che, io credo, siano gli stessi per l’agricoltore del Texas come per quello del Pendjab.”
Certamente, sarebbe falso attribuire la diffusione delle idee unicamente alla manipolazione clandestina. Le idee si iscrivono in vasti movimenti culturali, le cui fonti originali sono molteplici. Ma è fuori dubbio che il dominio di queste idee può essere considerevolmente facilitato mediante operazioni clandestine, particolarmente in quanto i membri delle società dell’informazione di massa sono straordinariamente influenzabili. Non solamente essi credono a ciò che leggono sui giornali, ma immaginano di essere arrivati in modo autonomo alle conclusioni. Di conseguenza, l’astuzia per manipolare l’opinione pubblica consiste nell’applicare quello che è stato teorizzato da Bernays, introdotto e messo in pratica da Münzenberg ed elevato al rango di grande arte dalla CIA.
Secondo l’agente della CIA Donald Jameson, rispetto ai comportamenti che l’Agenzia desidera suscitare mediante le sue attività, è evidente che la CIA desidera formare delle persone intimamente persuase che tutto quello che il governo mette in esecuzione sia giusto. Altrimenti detto, quello che la CIA e altre agenzie hanno messo in esecuzione in questo periodo è stato di adottare la strategia che bisogna associare al marxista italiano Antonio Gramsci, che affermava che l’“egemonia culturale” era essenziale per la rivoluzione socialista.

Disinformazione
Sulle tecniche di disinformazione esiste una quantità enorme di testi.
Ho già fatto menzione sul fatto importante, formulato da Tchakhotine, che il ruolo dei giornalisti e dei media è fondamentale per assicurarsi che la propaganda avvenga in modo costante.
Tchakhotine scrive che la propaganda non dovrebbe interrompersi mai, formulando così una delle regole fondamentali della disinformazione moderna, vale a dire che il messaggio, per passare, deve essere ripetutamente reiterato.
Prima di tutto, Tchakhotine afferma che le campagne di propaganda devono essere dirette in modo centralizzato e ben organizzate, cosa che è divenuta prassi nel tempo della “comunicazione” politica moderna. Per esempio, i membri laburisti del Parlamento Britannico non possono comunicare con i media senza l’autorizzazione del Direttore per le Comunicazioni, al numero 10 di Downing Street.
Sefton Delmer era allo stesso tempo un teorico e un esperto esecutore della black propaganda (propaganda sporca, disinformazione). Aveva creato una falsa stazione radio che, durante la Seconda Guerra mondiale, trasmetteva dalla Gran Bretagna verso la Germania e diffondeva il mito che esistevano dei buoni patrioti tedeschi che si opponevano ad Hitler. [N.d.tr.: Gustav Siegfried Eins. Questo era il nome della stazione radio che fingendo di essere tedesca, riusciva a seminare tra i suoi ascoltatori (tedeschi) l’idea di una Germania non così monolitica come l’avrebbe voluta il Führer.] Si sosteneva la finzione che si trattasse in realtà di una stazione tedesca clandestina che trasmetteva utilizzando frequenze vicine a quelle delle stazioni ufficiali. Questo genere di “black propaganda” fa ancora parte dell’arsenale della “comunicazione” governativa statunitense.
Il New York Times ha rivelato che il governo emetteva dei bollettini informativi favorevoli alla sua politica, che venivano quindi diffusi nei programmi ordinari e presentati come produzioni delle stesse catene radiofoniche e televisive.
Esistono numerosi altri autori che hanno trattato questo argomento e di alcuni di loro ho già parlato nella mia rubrica All News Is Lies – Tutte le notizie sono falsità, ma forse l’opera che corrisponde al meglio al dibattito attuale è quella di Roger Mucchielli, La Subversion, pubblicata in francese nel 1971, che dimostra come la disinformazione, una volta ritenuta tattica ausiliaria durante la guerra, sia divenuta la tattica predominante [13].
Secondo Mucchielli, la strategia si è sviluppata al punto tale che l’obiettivo attualmente è quello di conquistare un paese senza assolutamente attaccarlo fisicamente, in particolare facendo ricorso ad agenti interni che condizionano l’opinione pubblica.
Essenzialmente, si tratta dell’idea proposta e posta in discussione da Robert Kaplan nel suo saggio pubblicato in The Atlantic Monthly nel luglio/agosto 2003 e intitolato “Supremacy by Stealth – Supremazia assunta furtivamente” [14].
Robert Kaplan, uno dei più sinistri teorici del Nuovo Ordine Mondiale e dell’Impero USamericano, difende esplicitamente l’utilizzazione illegale ed immorale della forza per permettere agli Stati Uniti di controllare il mondo intero.
Il suo saggio tratta del ricorso alle operazioni segrete, alla forza delle armi, a sporchi inganni, alla disinformazione, alle influenze clandestine, alla costruzione dell’opinione pubblica, perfino agli assassini politici, tutti mezzi che rivelano un’“etica pagana” destinati ad assicurare il predominio statunitense.
Un altro punto da sottolineare a proposito di Mucchielli è che è stato uno dei primi teorici a propugnare il ricorso a false organizzazioni non governative ONG, o “organizzazioni di facciata”, per provocare un cambiamento politico interno di un altro paese.
Come Malaparte e Trotskij, Mucchielli aveva capito che non erano le circostanze “oggettive” che procuravano il successo o il fallimento di una rivoluzione, ma la percezione di queste circostanze creata ad arte dalla disinformazione.
Inoltre, Mucchielli aveva compreso che le rivoluzioni storiche, che venivano invariabilmente presentate come il prodotto di movimenti di massa, in realtà erano frutto dell’azione di un gruppo assolutamente ristretto di cospiratori molto ben organizzati.
Come Trotskij, Mucchielli insisteva sul fatto che la maggioranza silenziosa doveva essere completamente esclusa dai meccanismi del cambiamento politico, precisamente perché i colpi di Stato sono opera di un ristretto numero di individui e non della massa.
L’opinione pubblica costituisce il “forum” dove si pratica la sovversione e Mucchielli descrive i differenti modi di utilizzare i mezzi di comunicazione di massa per creare una psicosi collettiva. Secondo lui, i fattori psicologici sono estremamente importanti a questo riguardo, in modo particolare nella ricerca di strategie importanti, come la demoralizzazione di una società. L’avversario deve essere indotto a perdere fiducia nella giustezza e nella fondatezza della sua causa e tutti gli sforzi devono essere prodotti per convincerlo che il suo avversario è invincibile.

Ruolo dei militari
Prima di affrontare questo punto, richiamiamo alla mente ancora una questione di ordine storico: il ruolo dei militari nella conduzione di operazioni segrete e nell’influenza esercitata sui mutamenti politici. Si tratta di una questione di cui alcuni analisti contemporanei ammettono tranquillamente la valenza attuale: Kaplan approva il fatto che l’esercito degli Stati Uniti venga utilizzato per “promuovere la democrazia”.
Si compiace di sottolineare come un colpo di telefono di un generale USamericano sia spesso un mezzo migliore per incoraggiare un cambiamento politico in un paese del Terzo Mondo piuttosto che una esortazione dell’ambasciatore degli Stati Uniti.
Kaplan cita un ufficiale addetto alle Operazioni Speciali dell’Esercito:
“Chiunque sia il presidente del Kenya, è sempre lo stesso gruppo di…giovanotti a dirigere le forze speciali e le guardie del corpo del presidente. Noi li abbiamo addestrati. Questo è quello che si dice influenza diplomatica!”
L’aspetto storico dell’argomento è stato di recente studiato da un accademico universitario svizzero, Daniele Ganser, in un suo libro Les Armées secrètes de l’OTAN [15].
Ganser comincia col menzionare il fatto che il 3 agosto 1990, Giulio Andreotti, allora Primo ministro, ammetteva l’esistenza di un’organizzazione armata segreta nel suo paese, dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, conosciuta con il nome di Gladio, che era stata creata dalla CIA e dal MI6, e che era coordinata da una sezione poco ortodossa della NATO.
Inoltre, Andreotti confermava una delle vociferazioni più persistenti nell’Italia del dopo-guerra.
Tantissime persone, fra cui magistrati inquirenti, avevano l’opinione che Gladio non facesse parte solamente di una rete di organizzazioni armate segrete create dagli Stati Uniti in Europa occidentale per combattere un’eventuale occupazione sovietica, ma che queste reti si erano adoperate per influenzare il risultato delle elezioni, addirittura stringendo sinistre alleanze con organizzazioni terroristiche. L’Italia era un bersaglio particolare, in quanto il suo Partito comunista era decisamente potente.
All’inizio, questo gruppo armato segreto era stato messo in piedi con lo scopo di prepararsi ad affrontare l’eventualità di una invasione, ma sembra che abbia effettuato ben presto operazioni segrete miranti ad influenzare gli stessi processi politici, pur in assenza di invasioni.
Esistono numerose prove dell’ingerenza massicciamente invasiva degli Stati Uniti, soprattutto nelle elezioni italiane, in modo da impedire al Partito comunista l’accesso al potere. Per questa ragione molti miliardi di dollari erano stati offerti ai democratici cristiani.
Ganser continua nel sostenere che esistono le prove che alcune cellule della Gladio hanno organizzato attentati terroristici con lo scopo di fare accusare i comunisti e di indurre la popolazione spaventata a reclamare poteri speciali per lo Stato destinati a “proteggerla” dal terrorismo.
Ganser interpella l’individuo accusato di avere posizionato una delle bombe, Vincenzo Vinciguerra, che ha ben spiegato la natura della rete di cui era un semplice soldato.
Gladio faceva parte di una strategia mirante a “destabilizzare, al fine di stabilizzare”.
Le vittime degli attentati erano civili, donne, bambini, innocenti, sconosciuti, assolutamente estranei al gioco politico. La ragione era molto semplice: si trattava di forzare il popolo italiano a rivolgersi verso lo Stato per esigere una maggiore sicurezza. Questa era la logica politica che permeava tutti i massacri, di cui gli autori sono rimasti impuniti, dato che lo Stato non poteva dichiararsi colpevole di quello che era avvenuto.
Esiste un rapporto evidente con le teorie del complotto a proposito dell’11 settembre.
Ganser presenta tutta una serie di prove secondo cui si è agito là come con Gladio in Italia e le sue argomentazioni lasciano pensare che potrebbe essere avvenuta un’alleanza con dei gruppi estremisti, come in Italia ci si era affidati a gruppi dell’estrema sinistra come le Brigate Rosse. Dopo tutto, quando Aldo Moro fu rapito – e in seguito assassinato – egli si era recato in Parlamento per presentare un programma di coalizione fra democristiani, socialisti e comunisti, fatto che gli Stati Uniti erano assolutamente decisi a contrastare.

I tattici della rivoluzione del nostro tempo
Le opere storiche che ho citato ci aiutano a capire quello che sta avvenendo ai nostri giorni. I miei colleghi e il sottoscritto, del British Helsinki Human Rights Group, abbiamo potuto constatare che anche attualmente vengono utilizzate le stesse teniche.
Le principali tattiche sono state perfezionate in America latina negli anni 1970–80. Molti agenti segreti, specialisti nei rovesciamenti di regime all’epoca di Reagan e di Bush padre, hanno esercitato il loro mestiere senza problemi nell’ex blocco sovietico sotto Clinton e Bush figlio.
Il generale Noriega racconta nelle sue memorie che i due agenti della CIA e del Dipartimento di Stato, inviati prima per negoziare e poi per provocare la sua caduta dal potere a Panama nel 1989, si chiamavano William Walker e Michael Kozak.
Ora, il primo è riapparso in Kosovo nel gennaio 1999 quando, a capo della Missione di verifica e controllo, sovrintendeva alla costruzione del castello di menzogne sulle “atrocità” che servì poi come pretesto alla guerra.
In quanto a Michael Kozak, divenne ambasciatore in Bielorussia dove, nel 2001, inscenava l’operazione “Bianca cicogna” destinata a rovesciare il presidente Alexandr Loukachenko.
In uno scambio di lettere con The Guardian, nel 2001, Kozak ebbe la sfrontatezza di riconoscere che in Bielorussia faceva esattamente quello che aveva fatto in Nicaragua e a Panama, vale a dire “promuovere la democrazia”[16]
La tecnica moderna di colpo di Stato si presenta essenzialmente utilizzando tre tipi di strumenti:
le ONG; il controllo dei media; gli agenti segreti. Le loro attività sono interscambiabili, tanto che vale la pena di effettuare analisi non separatamente.

Serbia, 2000
Il rovesciamento di Slobodan Milosevic non fu il primo evento in cui manifestamente l’Occidente utilizzava influenze clandestine per provocare un cambiamento di regime.
Il rovesciamento di Sali Berisha in Albania nel 1997 e quello di Vladimir Meciar in Slovacchia nel 1998 sono stati fortemente influenzati dall’Occidente e, nel caso di Berisha, un sollevamento estremamente violento è stato presentato come un giusto esempio di spontanea presa del potere da parte del popolo.
Ho personalmente osservato come la comunità internazionale ed in particolare l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) abbiano falsificato i risultati del loro controllo delle elezioni in modo da assicurare il mutamento politico.
Per questo, il rovesciamento di Milosevic a Belgrado, il 5 ottobre 2000, è importante, visto che si trattava di una personalità molto conosciuta e che la “rivoluzione” che lo ha destituito ha implicato un uso decisamente sfacciato del “potere popolare”.
Il contesto del putsch contro Milosevic è stato brillantemente descritto da Tim Marshall, giornalista di Sky TV. Quello che Marshall mostra è tanto valido in quanto approva gli avvenimenti da lui evocati e si vanta dei suoi numerosi contatti con i servizi segreti, in particolare con quelli della Gran Bretagna e degli Stati Uniti.
Ad ogni istante, Marshall sembra essere al corrente di chi sono i principali agenti segreti. Il suo resoconto è denso di riferimenti ad “un agente del MI6 di Pristina”, a “fonti dei servizi segreti jugoslavi”, a “un uomo della CIA che ha aiutato a preparare il colpo di Stato”, ad “un agente dei servizi segreti della marina statunitense”, ecc.
Egli cita rapporti segreti dei servizi informativi serbi, conosce chi è il capo di stato maggiore del ministro britannico della Difesa che aveva messo a punto la strategia del rovesciamento di Milosevic.
Marshall sa che le conversazioni telefoniche del ministro per gli Affari esteri britannico sono ascoltate; conosce chi sono gli agenti dei servizi segreti russi che accompagnavano Evgueni Primakov, il Primo ministro russo, a Belgrado durante i bombardamenti della NATO; è al corrente in quali stanze dell’ambasciata di Gran Bretagna si trovavano dei microfoni e dove si trovavano le spie jugoslave che ascoltavano le conversazioni dei diplomatici; sa che un membro della Commissione per le relazioni internazionali della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti è in realtà un agente dei servizi segreti della marina; sembra sapere che decisioni dei servizi segreti sono spesso assunte senza il completo accordo dei ministri.
Marshall descrive come la CIA abbia fatto da scorta alla delegazione dell’Esercito di Liberazione del Kosovo fino a Parigi per i colloqui di Rambouillet, prima della guerra, in cui la NATO lanciava alla Jugoslavia un ultimatum che sapeva non potere essere che respinto. Egli allude ad un “giornalista britannico” che serviva da intermediario fra Londra e Belgrado durante negoziati segreti tenuti ad alto livello estremamente importanti attraverso i quali i partecipanti avrebbero cercato di tradirsi gli uni con gli altri nel momento in cui il potere di Milosevic sarebbe crollato.
Uno dei temi che attraversano il suo libro, suo malgrado, è che la linea di separazione fra giornalisti e spie è sottile. All’inizio del libro, Marshall tratta di sfuggita di “legami inevitabili fra funzionari, giornalisti e politici”, affermando che costoro “lavorano tutti nel medesimo ambito”. Egli continua in tono scherzoso nel dire che era stata una “associazione fra spioni, giornalisti da strapazzo e politicanti, più il popolo” a provocare la caduta di Milosevic.
Marshall accetta il mito della partecipazione del “popolo”, ma il resto del suo libro mostra come in realtà il rovesciamento del presidente jugoslavo non sarebbe potuto avvenire se non attraverso strategie politiche concepite a Londra e a Washington.
Prima di tutto, Marshall fa ben comprendere che nel 1988 il Dipartimento di Stato e i servizi di sicurezza avevano deciso di utilizzare l’Esercito di Liberazione del Kosovo (ELK) per sbarazzarsi di Milosevic. Viene citata una fonte secondo cui “il progetto degli Stati Uniti era chiaro: quando sarebbe arrivato il momento, avrebbero utilizzato l’ELK per ottenere la soluzione del problema politico”, e con “problema” si intendeva la sopravvivenza politica di Milosevic.
Questo significava che si sosteneva il secessionismo terroristico dell’ELK per condurre in seguito una guerra contro la Jugoslavia al loro fianco.
Marshall cita Karl Kirk, un agente dei servizi segreti della marina degli Stati Uniti: “Finalmente, ci siamo impegnati in una vasta operazione, allo stesso tempo scoperta e segreta, contro Milosevic”. La parte segreta dell’operazione consisteva non solamente nel rinforzare le differenti missioni con agenti dei servizi segreti britannici e statunitensi inviati in Kosovo come “osservatori”, ma ugualmente – e questo era cruciale – nel fornire aiuto militare , tecnico, finanziario, logistico e politico all’ELK, che conduceva traffici di droga e di esseri umani e che assassinava civili.
La strategia vedeva la sua luce alla fine del 1998 quando una “importante missione della CIA fu messa all’opera in Kosovo”.
Il presidente Milosevic aveva autorizzato ad entrare in Kosovo una missione diplomatica di osservatori per controllare la situazione di quella provincia. Immediatamente, questo gruppo fu ben infarcito di agenti segreti e delle forze speciali britanniche e statunitensi, di uomini della CIA e dei servizi segreti della marina USAmericana, di membri del Servizio Speciale Aereo (SAS) britannico e del “14.esimo Intelligence”, corpo dell’esercito britannico che opera al fianco del SAS per effettuare quella che viene definita come “deep surveillance”, sorveglianza profonda.
Lo scopo immediato dell’operazione era di effettuare la “preparazione di intelligence del terreno del conflitto” [metodo di analisi di un terreno suscettibile di diventare campo di battaglia ], versione moderna di quello che il duca di Wellington aveva l’abitudine di fare, vale a dire percorrere il campo di battaglia in lungo e in largo per rendersi conto della configurazione del terreno prima di affrontare il nemico.
Quindi, come scrive Marshall, “ufficialmente la KDOM [Missione Diplomatica di Osservazione in Kosovo] era diretta dall’OSCE in Europa, ma ufficiosamente dalla CIA. Si trattava di uno schieramento della CIA.” Infatti, la maggior parte dei suoi membri operavano per un altro reparto della CIA, la DynCorp, una compagnia con sede in Virginia che impiega, secondo Marshall, soprattutto “membri di unità di élite dell’esercito USAmericano o della CIA”.
Veniva utilizzata la KDOM, che più tardi si trasformava nella Missione di verifica in Kosovo, solo per fare dello spionaggio! Al posto di eseguire i compiti di controllo e di osservazione loro assegnati, i membri della Missione utilizzavano i loro sistemi di posizionamento globale GPS (un metodo di orientamento satellitare) per localizzare ed identificare gli obiettivi che in seguito la NATO avrebbe bombardato.
Si fa fatica a capire come gli Jugoslavi abbiano potuto permettere che 2000 agenti dei servizi segreti perfettamente addestrati percorressero il loro territorio, dato che, come viene dimostrato da Marshall, loro sapevano molto bene quello che stava avvenendo.
Il capo della Missione di verifica in Kosovo era William Walker, l’uomo che aveva avuto per missione di scalzare Noriega dal potere a Panama e che era stato ambasciatore degli Stati Uniti in Salvador il cui governo, appoggiato da Washington, si serviva di squadroni della morte.
Walker “scopriva” il “massacro” di Racak nel gennaio 1999, avvenimento utilizzato come pretesto per innescare il processo che avrebbe portato ai bombardamenti che ebbero inizio il 24 marzo.
Numerose testimonianze lasciano pensare che Racak sia stata una messa in scena e che i corpi trovati là fossero quelli di combattenti dell’ELK e non di civili, come si ebbe a pretendere.
Quello che è certo è che il ruolo di Walker è stato così importante che la strada nazionale del Kosovo che conduce a Racak a lui è stata intitolata.
Marshall scrive che la data della guerra – primavera 1999 – non è stata solamente decisa alla fine di dicembre 1988, ma che era stata contemporaneamente comunicata all’ELK.
Questo significa che, a “massacro” avvenuto, quando Madeleine Albright dichiarava : “Quest’anno la primavera è arrivata prima.”, lei si comportava esattamente come Goebbels quando, venendo a conoscenza dell’incendio del Reichstag nel 1933, avrebbe esclamato: “Come, di già?”
In tutti i modi, Marshall scrive che quando la Missione fu ritirata alla vigilia dei bombardamenti della NATO, gli agenti della CIA che ne facevano parte consegnarono i loro cellulari satellitari e i loro GPS all’ELK.
“Gli Stati Uniti addestrarono l’ELK, in parte lo equipaggiarono e di fatto gli consegnarono un territorio”, scrive Marshall, anche se lui stesso, come tutti gli altri reporter, aveva contribuito a propagare il mito delle atrocità commesse sistematicamente da parte dei Serbi contro una popolazione civile albanese totalmente inerte.
Naturalmente, la guerra ebbe inizio e la Jugoslavia fu violentemente bombardata. Ma Milosevic restava al potere. Allora, Londra e Washington dettero inizio alla messa in pratica di ciò che Marshall definisce una “guerra politica” per poterlo destituire dal governo.
La “guerra politica” consisteva nel consegnare importanti somme di denaro e nel portare aiuto tecnico, logistico e strategico, compreso l’invio di armi, a gruppi differenti dell’“opposizione democratica” e ad Organizzazioni Non Governative della Serbia.
In quel momento, gli Stati Uniti operavano principalmente per via indiretta attraverso l’International Republican Institute [17], che aveva aperto uffici in Ungheria con lo scopo di sbarazzarsi di Milosevic.
Marshall spiega che ad una riunione “ci si trovò d’accordo sul fatto che gli argomenti ideologici sulla democrazia, sui diritti civili e sull’approccio umanitario sarebbero stati molto più convincenti se accompagnati, all’occorrenza, da denaro bastante.”
Questo denaro, e molte altre cose, di conseguenza, entrarono in Serbia attraverso valige diplomatiche, in molti casi appartenenti a paesi in apparenza neutrali come la Svezia che, non essendo ufficialmente membro della NATO, poteva mantenere completamente aperta la sua ambasciata a Belgrado.
Marshall aggiunge che il denaro entrava da tanti anni. Mezzi di informazione “indipendenti”, come la stazione radio B92 (dello stesso editore di Marshall), venivano finanziati in gran parte dagli Stati Uniti. Alcune organizzazioni controllate da George Soros [18] allo stesso modo giocarono un ruolo essenziale, come più tardi in Georgia nel 2003–04.
I cosiddetti “democratici” in realtà non erano niente altro che agenti stranieri, come veniva affermato in modo imperturbabile dal governo jugoslavo del tempo.
Inoltre Marshall spiega un fatto che attualmente è di dominio pubblico, vale a dire che sono sempre gli Stati Uniti che hanno concepito la strategia consistente nel proporre un candidato, nel caso jugoslavo Vojislav Kostunica, per unificare l’opposizione. Kostunica presentava il grande vantaggio di essere quasi uno sconosciuto agli occhi dell’opinione pubblica.
Marshall dimostra che la strategia comprendeva perfino un colpo di Stato accuratamente predisposto e che ebbe luogo come previsto. Egli mostra in maniera estremamente ricca di dettagli come i principali attori di quello che fu presentato dalle televisioni occidentali come un sollevamento “popolare” spontaneo in realtà non fossero null’altro che una banda di teppisti estremamente violenti e pesantemente armati al comando del sindaco della città di Cacak, Velimir Illic. Era un convoglio di Illic lungo 22 chilometri che aveva trasportato “armi, paras e squadre di kickboxeurs” fino all’edificio del Parlamento federale di Belgrado.
Marshall ammette che gli avvenimenti del 5 ottobre 2000 “rassomigliavano sicuramente ad un colpo di Stato” piuttosto che ad una rivoluzione popolare, come volevano far credere tanto “candidamente” i media di tutto il mondo.

Georgia, 2003
Molte delle tattiche applicate a Belgrado furono riprese ad nauseam in Georgia nel novembre 2003, per rovesciare il presidente Edouard Chevardnadze [19]. Furono espresse le medesime asserzioni di elezioni truccate e reiterate senza sosta. (In Georgia, si trattava di elezioni legislative, mentre quelle in Jugoslavia erano elezioni presidenziali). I media occidentali ripresero queste asserzioni, che erano state formulate ben prima dello scrutinio, senza porsi alcuna domanda.
Venne scatenata una guerra di propaganda contro i due presidenti, nel caso di Chevardnadze dopo un lungo periodo in cui era stato incensato come un grande democratico riformatore.
Le due rivoluzioni si produssero dopo un identico “assalto al Parlamento” trasmesso in diretta dalle televisioni. I due trasferimenti di potere furono negoziati dal ministro russo per gli Affari esteri Igor Ivanov che prese l’aereo prima per Belgrado e poi per Tbilissi al fine di condurre in porto il trapasso di poteri dei due presidenti in carica. E, last but not least, anche l’ambasciatore USAmericano fu il medesimo nei due casi: Richard Miles.Comunque, la similitudine più evidente è consistita nell’utilizzazione di un movimento studentesco noto con il nome di Otpor (Resistenza) in Serbia e di Kmara (Basta! in georgiano) in Georgia [20].
I due movimenti avevano lo stesso simbolo, un pugno chiuso nero su bianco. Otpor ... ...e Kmara.
Quelli di Otpor addestravano gli aderenti di Kmara, e tutti venivano sostenuti dagli Stati Uniti.
Ed entrambi i movimenti erano manifestamente strutturati secondo la tattica comunista, che associa la parvenza di una struttura diffusa di cellule autonome con la realtà di una disciplina di natura leninista fortemente centralizzata.
Come in Serbia, fu rivelato alla pubblica opinione il ruolo giocato dalle operazioni segrete e dal denaro statunitense, ma solamente dopo gli avvenimenti. Durante questi eventi, le televisioni non cessarono di parlare di un sollevamento di “popolo” contro Chevardnadze.
Tutte le immagini contrarie a questa menzogna, che doveva produrre ottimismo, furono occultate, come il fatto che la “marcia su Tbilisi” guidata da Mikhail Saakachvili si era mossa da Gori, la città natale di Stalin, a partire dalla statua dell’ex tiranno sovietico, che resta pur sempre un eroe per tanti Georgiani.
I media non si inquietarono per nulla quando il nuovo presidente Saakachvili fu confermato nelle sue funzioni attraverso un’elezione che lo gratificava di una percentuale staliniana del 96 %.

Ucraina, 2004
Nel caso dell’Ucraina, si osserva la medesima combinazione di attività da parte di ONG finanziate dall’Occidente, di mezzi di comunicazione e di servizi segreti [21].
Le ONG hanno giocato un ruolo enorme nel delegittimare le elezioni, addirittura prima che queste avessero luogo. Non cessavano di parlare di brogli generalizzati. In altri termini, le manifestazioni di strada che si scatenarono dopo il secondo ballottaggio, vinto da Yanoukovitch, si fondavano su affermazioni che circolavano ben prima dello spoglio del secondo turno.
La principale ONG responsabile di queste accuse, il Comitato degli elettori di Ucraina, non aveva ricevuto un quattrino dagli elettori ucraini, ma in compenso era stata generosamente finanziata dai governi occidentali. I suoi uffici erano ornati di ritratti della Madeleine Albright e il National Democratic Institute era uno dei suoi principali sostenitori. Questo Comitato non cessava di fare propaganda contro Yanoukovitch.
Durante questi avvenimenti, io stesso ho potuto riscontrare tanti abusi di questa propaganda, che consistevano principalmente nel ripetere instancabilmente che il governo praticava brogli elettorali, questo per dissimulare la frode praticata dall’opposizione che presentava Victor Youchtchenko, uno degli uomini più noiosi del mondo, come un politico carismatico e diffondeva la tesi ridicolmente inverosimile che egli era stato deliberatamente avvelenato dai suoi avversari. (Fino a questo momento nessuna azione giudiziaria è stata promossa a riguardo.)
Si potrà trovare un resoconto più completo sulla propaganda e sulle frodi nel rapporto “Ukraine’s Clockwork Orange Revolution – La rivoluzione del movimento arancione in Ucraina” del British Helsinki Human Rights Group.
Una spiegazione interessante del ruolo giocato dai servizi segreti è stata fornita nel New York Times da C. J. Chivers, che descrive come il KGB ucraino abbia sempre operato in favore di Youchtchenko, ben inteso, in collaborazione con gli Stati Uniti.[22].
Fra altri articoli importanti su questo argomento, ricordiamo quello di Jonathan Mowat intitolato “The New Gladio in Action ? Ukrainian Postmodern Coup Completes Testing of New Template – Una nuova Gladio in azione? Il colpo postmoderno in Ucraina completa la verifica empirica di un nuovo modello”, che descrive in dettaglio come la dottrina militare era stata adattata per provocare un cambiamento di regime e come erano stati utilizzati diversi strumenti, dalla psicologia ai falsi sondaggi d’opinione [23].
L’articolo di Mowat è particolarmente interessante quando tratta delle teorie di Peter Ackermann, l’autore di “Strategic Nonviolent Conflict - Conflitto strategico non violento” [24] e di una relazione intitolata “Between Hard and Soft Power: The Rise of Civilian-Based Struggle and Democratic Change – Fra potere duro e debole: il sorgere di lotte fondate su movimenti civili e il cambiamento democratico”, pronunciata presso il Dipartimento di Stato nel giugno 2004 [25].
Mowat è parimenti eccellente in materia di psicologia delle folle e della loro utilizzazione durante i putsch. Egli attira l’attenzione sul ruolo di “sciami di adolescenti” e su quello dell’“isteria dei ribelli” e fa ricondurre l’origine della loro utilizzazione per fini politici al Tavistock Institute negli anni 1960. Questo Istituto era stato creato dall’Esercito britannico in relazione alla guerra psicologica dopo la Prima Guerra Mondiale e fra i suoi illustri studiosi possiamo trovare David Owen, ex Segretario di Stato per gli Affari esteri e Radovan Karadic, ex-Presidente della Repubblica serba di Bosnia.
Mowat mostra come le idee formulate in quell’Istituto da Fred Emery furono riprese da un certo Howard Perlmutter, professore di “architettura sociale” alla Wharton School e discepolo di Emery, per cui la diffusione del video “Rock a Katmandu” costituiva uno strumento appropriato per evocare il modo attraverso cui Stati di cultura tradizionale potevano essere destabilizzati, con l’obiettivo finale di dare luogo alla “civilizzazione globale”.
Aggiungeva che per una tale trasformazione erano necessari due requisiti: “La costruzione di una rete, che operi a livello internazionale, di organizzazioni internazionali e locali” e “la creazione di eventi globali” tramite “la trasformazione, mediante l’uso dei mezzi di informazione di massa, di un evento locale in un avvenimento che possa avere ripercussioni internazionali immediate.”

Conclusione
Nulla di tutto ciò che abbiamo analizzato può venire rapportato a “teorie del complotto”, in quanto ci si trova nella effettiva presenza di autentici complotti!
Per gli Stati Uniti, la promozione della democrazia è un elemento importante della sua strategia generale sulla sicurezza nazionale.
Importanti settori del Dipartimento di Stato, la CIA, agenzie para-governative come il National Endowment for Democracy e ONG finanziate dal Governo, come la Carnegie Endowment for International Peace, che ha pubblicato numerose opere riguardanti la “promozione della democrazia”, tutti hanno un punto in comune: prevedono l’ingerenza, a volte violenta, delle potenze occidentali, in modo particolare degli Stati Uniti, nella politica di altri Stati e questa ingerenza è molto spesso utilizzata per incoraggiare l’obiettivo rivoluzionario per eccellenza, il cambiamento di regime.

NOTE
[1] All’epoca della rivoluzione dei Cedri, Hezbollah costituiva la maggioranza relativa. Dopo il ritiro del contingente di pace siriano, Hezbollah dava vita ad una coalizione allargata, a cui partecipava, fatto da sottolineare, il Movimento patriotico libero del generale Michel Aoun.
Questa coalizione, in occasione delle elezioni legislative, si dimostrava maggioritaria dopo lo spoglio dei voti. Tuttavia, tenuto conto del sistema elettorale che privilegia le liste di rappresentanza politica rispetto ai voti individuali, questa coalizione popolare risultava minoritaria in Parlamento.
[2] Technique du coup d’État, di Curzio Malaparte. Prima edizione Grasset 1931. Riedizione in formato tascabile, Grasset & Fasquelle (2008). Ed. italiana Mondadori, 2002 (esaurito)
[3] Propaganda di Edward L. Bernays, Horace Liveright (1928). Scaricabile. Versione francese : Propaganda : Comment manipuler l’opinion en démocratie, Zone (2007).
[4] « The Engineering of Consent », The Annals of the American Academy of Political and Social Science, 1947, 250 p. 113. (Questo articolo è stato riprodotto nella raccolta eponima “The engineering of consent”, University of Oklahoma Press, 1955.)
[5] Manufacturing Consent : The Political Economy of the Mass Media, di Edward S. Herman e Noam Chomsky, Pantheon Books Inc (1988). Versione francese : La fabrication du consentement : De la propagande médiatique en démocratie, Agone, 2008.
[6] Psychologie des foules, di Gustave Le Bon, 1895. Scaricabile
[7] Masse und Macht, di Elias Canetti, Fischer Taschenbuch Vlg. Versione francese : Masse et puissance, Gallimard, 1986.
[8] Le viol des foules par la propagande politique, di Serge Tchakhotine, Gallimard, riedizione in formato tascabile 1992.
[9] Who Paid the Piper ?: CIA and the Cultural Cold War, di Frances Stonor Saunders, Granta, 1999. Versione francese: Qui mène la danse ? La CIA et la Guerre froide culturelle, Denoël, 2003.
[10] A proposito del Congresso per la libertà della Cultura, leggere « Quand la CIA finançait les intellectuels européens », di Denis Boneau e « Quand la CIA finançait les intellectuels italiens », di Federico Roberti, Réseau Voltaire, 27 novembre 2003 e 5 settembre 2008.
[11] « Les New York Intellectuals et l’invention du néo-conservatisme », di Denis Boneau, Réseau Voltaire, 26 novembre 2004.
[12] The vital center ; the politics of freedom, di Arthur M. Schlesinger, Boston Houghton Mifflin Co, 1949.
[13] La subversion, di Roger Muchielli, C.L.C ; nuova edizione rivista e aggiornata, (1976)
[14] « Supremacy by Stealth », di Robert Kaplan, The Atlantic Monthly, luglio/agosto 2003.
[15] Les Armées secrètes de l’OTAN, di Daniele Ganser, edizioni Demi-lune (2007). Questo libro è pubblicato in appendice da Réseau Voltaire.
[16] « For Nicaragua, read Belarus » di Mark Almond ; « Belarus and the Balkans », lettera di Michael Kozak ; « Belarus president tightens grip on a resentful people » e « Belarussian foils dictator-buster... for now. Tested US foreign election strategy fails against Lukashenko », di Ian Traynor, The Guardian, 21 e 25 agosto, 10 e 14 settembre 2001.
[17] IRI è una sezione della NED. Vedere « La NED, nébuleuse de l’ingérence "démocratique" », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 22 gennaio 2004.
[18] « George Soros, spéculateur et philanthrope », Réseau Voltaire, gennaio 2004.
[19] « Les dessous du coup d’État en Géorgie », di Paul Labarique,Réseau Voltaire, 7 gennaio 2004.
[20] « L’Albert Einstein Institution : la non-violence version CIA », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 4 giugno 2007.
[21] « Washington et Moscou se livrent bataille en Ukraine », di Emilia Nazarenko e la redazione; e « Ukraine : la rue contre le peuple », 1 e 29 novembre 2004.
[22] « Back Channels : A Crackdown Averted ; How Top Spies in Ukraine Changed the Nation’s Path », di C. J. Chivers, The New York Times, 17 gennaio 2005.
[23] « The new Gladio in action ? Ukrainian postmodern coup completes testing of new template », di Jonathan Mowat, Online Journal, 19 marzo 2005.
[24] Strategic Nonviolent Conflict : The Dynamics of People Pow
Quello riportato è sicuramente un pò lungo (per questo motivo vi invito a salvare la pagina nei preferiti per poterlo poi leggere con calma), e me ne scuso con i lettori del Blog. Sottolineo che qui su Niente Barriere, non si vuole assolutamente chiedere un Colpo di Stato, o sperare che avvenga. Chi scrive è totalmente un non violento, un uomo che ama la pace, e che ha il desiderio, come tanti, che in Italia finalmente le cose possano cambiare. Che la gente allontani dalla scena politica italiana quella montagna di spazzatura che tiene in ostaggio il paese, con l'aiuto di potentissime lobbie economiche.

Tutto questo succederà un giorno, ma senza ricorrere ad atti di violenza, e accadrà in modo democratico, con il voto. La storia ci insegna che con la violenza non si risolve nulla, anzi peggiorano le cose (pensate agli anni 70), e il malaffare dorme sogni tranquilli. E' proprio grazie ad atti violenti e criminali che il Sistema fa quadrato attorno a se, scatenando un offensiva mediatica atta a deligittimare l'avversario. Molta gente ora è stufa della situazione italiana e già da qualche anno si vedono i segni di un unione partitica che fa quadrato, silenziosamente ma inesorabilmente, unita contro chi disturba i sogni e i progetti di questi signori.

Vogliamo cambiare le cose? Beh consiglio di usare e difendere da questi attacchi internet. Informiamoci grazie a lui e impariamo a far politica anche sfruttando le risorse che La Rete ci da. E poi piantiamola una volta per tutte di votare quei partiti (che hanno due o tre lettere di cui le prime due uguali ...) che reggono il gioco di tutto questo cucuzzaro corrotto e massonico che in questi anni hanno portato, secondo me volontariamente, al punto di sfascio della nostra povera Italia.

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4 commenti:

Daniele Verzetti il Rockpoeta® ha detto...

Sono meno ottimista sul come avverrà il cambiamento e in che direzione. Articolo interessante; Ed é importante che sia nato oramai ufficialmente il popolo viola che già ha cmq fatto cose importanti.

Raimondo - Niente Barriere ha detto...

Beh in questo articolo non ho azzardato previsioni italiane, ho solo fatto vedere come nelle altre nazioni hanno provato a cambiare le cose. Quello che penso io e piu volte l'ho scritto che da noi è proprio il sistema che sta da qualche anno lanciando un offensiva strisciante e anche efficace...mentre l'altra parte assiste spesso sgomenta, e lotta principalmente su internet e in qualche piazza, sempre, e lo sottolineo, con metodi democratici.
Noto invece con piacere che ultimamente il primo sta compiendo dei gesti di autodistruzione o meglio sta piazzando accidentalmente qualche sveglia alle orecchie degli italiani ..speriamo bene ...
Comunque lo ripeto, stavolta non rinunciamo a votare e cerchiamo di indebolire chi crediamo si stia comportando non bene con il nostro paese :)

@enio ha detto...

il popolo viola finirà come è finito grillo, come una bolla di sapone! Sono dei pappagalli che ripetono quello che viene inculcato loro in testa dai partiti!

Raimondo - Niente Barriere ha detto...

Non bisogna essere per forza dei maghi per azzardarsi a fare certe previsioni enio. Basta leggere le statistiche istat, relative agli italiani e la politica, enio leggi cosa ho scritto al riguardo pochi giorni fa http://raimondoorru.blogspot.com/2010/03/istat-i-numeri-che-condannano-litalia.html
Sarebbe interessante fare delle considerazioni se i tanti articoli dedicati alla politica nei blog su internet, servano o no a migliorare le sorti di questo meraviglioso ma assurdo bel paese che è l'Italia.