11 maggio 2010

Disabili, shopping? Meglio al centro commerciale



Arrivare al ristorante autonomamente, ma non poter entrare perché il gradino è troppo alto o il bagno non è accessibile. Riuscire a varcare l’ingresso del negozio ma non potersi muovere all’interno, a causa di piccole scalinate o porte troppo strette. Boutique, mercerie, negozi di calzature, bar o ristoranti sono spesso ancora poco adatti ad accogliere clienti in carrozzina, soprattutto nei centri storici. Nella maggior parte delle città italiane l’accessibilità ai locali è garantita più in modo formale che sostanziale. Non resta che rinunciare allo shopping se non si è accompagnati da qualcuno, oppure optare per centri commerciali e megastore.

NORME DA VENT’ANNI – Una legge che risale a circa 20 anni fa, la n. 13 dell’89, stabilisce che devono essere privi di barriere architettoniche tutti gli edifici privati costruiti o ristrutturati dopo quella data. Quindi, anche negozi ed esercizi commerciali, che di solito sono ubicati in edifici privati. In particolare, «in base al regolamento di attuazione della legge, il Decreto Ministeriale n. 236/‘89, i negozi devono essere “visitabili” - chiarisce l’avvocato Giuseppe dell’Aquila, consulente della Confesercenti una delle principali associazioni delle imprese del commercio, turismo, servizi e artigianato -. Anche una persona su sedia a rotelle, quindi, deve poter accedere agli spazi di relazione, intesi come gli ambienti aperti al pubblico destinati alle funzioni che caratterizzano quell’attività». Se poi la superficie dell'unità immobiliare supera i 250 mq deve essere previsto almeno un servizio igienico accessibile. Nei casi in cui non è possibile eliminare le barriere, per esempio se si tratta di edifici vincolati, la norma prevede che sia garantita la «visitabilità condizionata». In pratica, spiega l’avvocato: «In prossimità dell'accesso va apposto un campanello con l’apposito simbolo internazionale di accessibilità, in modo da poter chiedere l’’assistenza del personale. Non si parla quindi di pedana mobile, che invece assicura la visitabilità completa».

CENTRI COMMERCIALI ACCESSIBILI – La normativa in vigore è vincolante in caso di ristrutturazioni dell’immobile o di nuove costruzioni; per questo, molti centri commerciali sono provvisti di scivoli, ascensori, servizi accessibili. «Altrimenti non ottengono le autorizzazioni necessarie - sottolinea l’architetto Fabrizio Mezzalana, consulente della Fish, la federazione italiana per il superamento dell’handicap - . Inoltre, nei centri commerciali ogni giorno centinaia di carrelli devono poter circolare senza ostacoli, come per esempio un gradino. Avendo poi di solito una superficie superiore a 250 mq devono prevedere almeno un bagno accessibile. Per i locali già esistenti, invece, la presenza o meno di servizi igienici accessibili dipende dai regolamenti comunali - continua Mezzalana -. Così anche per il gradino all’ingresso dei negozi, che si trova un po’ dappertutto. Si è sempre costruito in questo modo, col pavimento rialzato rispetto all’esterno. È un problema tecnico che difficilmente il negoziante riesce a risolvere. Per esempio: mettere una pedana all’ingresso del negozio significherebbe occupazione del suolo pubblico. Va quindi concordato un piano col comune, che ha competenze in materia».

«PEBA» ANCORA SCONOSCIUTI – Per garantire l'accessibilità degli spazi urbani le amministrazioni comunali avrebbero dovuto predisporre i Piani per l’eliminazione delle barriere architettoniche, i cosiddetti Peba (legge n. 41/1986), integrandoli nei loro piani urbanistici, pena il commissariamento. Ma, a distanza di più di vent’anni, non tutti i comuni li hanno, oppure i Peba sono rimasti nel cassetto, o mancano i fondi necessari per realizzarli. «Le asl dovrebbero vigilare con ispezioni e controlli - afferma Carlo Rienzi, presidente Codacons -. Se la presenza di barriere architettoniche impedisce l’accessibilità, il cittadino può fare una diffida agli organi competenti e chiedere interventi adeguati». Così hanno fatto a Roma l’estate scorsa le associazioni dei consumatori, che hanno denunciato la non accessibilità di un bed & breakfast ristrutturato di recente.

CHIUSO BED & BREAKFAST – Il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso, ha disposto la chiusura dell’affittacamere. «Alcune strutture ricettive dispongono di regolare autorizzazione rilasciata dal Comune, ma non rispettano affatto le disposizioni in materia di barriere architettoniche - dice Rienzi - . Per questo abbiamo diffidato il sindaco Alemanno, responsabile dei controlli su tali esercizi, perché disponga la chiusura dei bed & breakfast realizzati o ristrutturati senza rispettare le leggi sull’accessibilità». La normativa è ancor più «una preziosa alleata dopo la convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità – sottolinea Mezzalana - . Ora, un giudice potrebbe anche decidere che un disabile è stato discriminato».

ALLEANZA «VIRTUOSA» – Certo, controlli e sanzioni spesso non bastano. A Parma, città promotrice del Libro bianco su «accessibilità e mobilità urbana», Comune, architetti, ingegneri e associazioni dei commercianti stanno cercando insieme soluzioni «virtuose». «Il campanello all’ingresso rende il negozio accessibile ma non rende la persona autonoma», fa notare Benedetta Squarcia, responsabile dell’agenzia per le politiche a favore dei disabili del comune di Parma. Dovrebbero essere varati a breve incentivi - quali per esempio esenzioni o sgravi sulla tassa per l’occupazione del suolo pubblico o sulla tassa dei rifiuti - per quei commercianti che decidono di rendere accessibili i propri esercizi, anche quando non sono obbligati dalla normativa. «Il Libro bianco contiene indicazioni per gli amministratori - come per esempio controllare, al momento del rilascio o del rinnovo delle licenze commerciali, se vengono rispettate le norme sull’accessibilità -, ma anche per ingegneri e architetti che devono progettare “per tutti” - afferma Paolo Bernini, assessore all’Agenzia per le politiche a favore dei disabili - . Le indicazioni tecniche, però, non bastano; serve un salto culturale nella formazione dei professionisti dei vari settori. Il concetto è semplice: la disabilità varia in relazione all′ambiente e, se ci sono meno ostacoli, avrà meno impatto sulla vita delle persone».

QUESTIONE DI CULTURA – Conferma Tommaso Daniele, presidente dell’Unione italiana ciechi: «È un problema di sensibilizzazione e cultura: molti ancora non conoscono le norme in vigore. Per esempio, anche se la legge prevede che i cani guida possano andare in taxi, al ristorante o in albergo – e sono previste multe salate per chi non la rispetta -, non tutti la conoscono. Qualcuno ancora impedisce l’ingresso dei cani nei negozi, come è capitato di recente a Treviso. Se glielo fai notare, alla fine ti chiedono scusa». Non mancano buoni esempi. «Alcuni esercenti hanno messo fuori al negozio le targhette in braille». E a Monza, qualche mese fa, amministrazione comunale e associazione Stefania di Lissone, nell’ambito del progetto “tempo senza barriere” hanno avviato una mappatura degli esercizi commerciali per verificarne l’accessibilità. Alla fine sarà attribuito un riconoscimento simbolico, un bollino blu da esporre sulle vetrine dei pubblici esercizi accessibili.

di Maria Giovanna Faiella

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