25 febbraio 2012

Caos e «effetto imbuto», solo il 15% ricoverato

Questo post è stato modificato dopo la sua prima stesura -


In troppi con il «CODICE VERDE»: 7 pazienti su 10. Dal 2000 a oggi 45 mila posti letto in meno. Al pronto soccorso in 23 milioni l'anno. Sei su 10 ottengono un letto entro 12 ore. Per 1 su 4 è necessario un giorno intero.


MILANO - «Emergency!». Il 28 maggio del 1990 il settimanale statunitense Time dedica la copertina ai pronto soccorso, con il titolo choc: «Emergenza!». È la prima presa di coscienza di un flagello dell'assistenza sanitaria in tutto il mondo: il sovraffollamento dei pronto soccorso.
Le date, in casi simili, sono importanti: ammettere l'esistenza di un problema è il primo passo per risolverlo. L'Italia, 22 anni dopo, annaspa ancora tra immagini vergognose di massaggi cardiaci praticati per terra e malati legati su barelle, polemiche e accuse incrociate. Gli allarmi lanciati dalle società scientifiche, come la Federazione italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza (Fimeuc) e la Società italiana Medicina di Emergenza-Urgenza, sono rimasti inascoltati. Giorgio Carbone, presidente della Simeu, scrive sul suo sito internet: «Già nel 2008 i colleghi di Roma misero in atto per le strade della città la protesta del "Barella day " per porre all'attenzione dell'opinione pubblica, e degli amministratori politici, la gravissima e pericolosa situazione del settore dell'Emergenza a Roma. Da allora nulla è stato fatto, se si esclude la definizione di piani di rientro regionali che inaspriscono anziché risolvere i problemi esistenti». 
Troppi pazienti, pochi letti - La maledizione dei pronto soccorso è quello che, in gergo medico, viene chiamato l'«effetto imbuto». Arrivano troppi pazienti, l'ospedale non è in grado di reggere l'onda d'urto né di smistare i malati nei reparti spesso ridotti all'osso da un taglio di 45 mila posti letto dal Duemila a oggi. In Italia ci sono state ventitré milioni di richieste d'aiuto in un anno: il 15% sono cittadini in condizioni gravi che hanno bisogno di essere ricoverati; l'altro 85% è composto da uomini, donne e bambini che non riescono a trovare altrove la soluzione ai propri malanni, in sette su dieci sono «codici verdi» (non gravi). Di qui il caos, le ore in sala d'aspetto in attesa di una visita, lo stress di medici e infermieri che scontano il taglio degli organici e la crescita dei malati da visitare.
Ma per chi è entrato nel girone infernale del pronto soccorso con condizioni di salute serie, purtroppo, i problemi da affrontare sono solo all'inizio. Lo dimostrano all'ennesima potenza gli episodi di cronaca degli ultimi giorni, come la storia di Miriam, lasciata quattro giorni in pronto soccorso su una barella al policlinico Umberto I, le braccia legate per non farla cadere a terra. Succede, infatti, che i pazienti spesso non riescono ad avere un posto letto, nei reparti c'è il tutto esaurito, non resta che attendere e pregare. 
In attesa di un ricovero - Così la condizione dei malati diventa di «imbarcati», come vengono definiti coloro che stazionano in pronto soccorso in attesa di posto letto al termine del processo diagnostico-terapeutico. Non sempre è una questione di ore, a volte ci vogliono giorni: solo il 60% dei pazienti trova un letto nel giro di 8/12 ore, nel 25% dei casi vengono superate le 48 ore, nel Lazio e in Campania 72 ore possono non bastare (come emerge dai dati raccolti dalla Fimeuc). «Il sovraffollamento non va considerato un problema del pronto soccorso, ma dell'intero ospedale - spiega Maria Antonietta Bressan, presidente Simeu della Lombardia -. È una situazione rischiosa per il paziente, perché ritarda le cure e fa diminuire la loro sicurezza». È già stato perso troppo tempo, adesso servono soluzioni. Cinzia Barletta, presidente della Fimeuc, precisa: «Alcune contromisure efficaci sono già state adottate in via sperimentale da Regioni come la Toscana, l'Emilia Romagna e la Lombardia. Altre possono essere importate dagli Usa e dall'Inghilterra». 
I modelli da copiare - Sulla scrivania di Barletta c'è lo studio di mister Steven J. Weiss, Università della California, Davis Medical Center di Sacramento. È Weiss che otto anni fa ha messo a punto il Nedocs, uno strumento per misurare con una formula matematica il sovraffollamento dei pronto soccorso. I parametri utilizzati sono sia di tipo strutturale (come il numero di posti letto dell'ospedale e le postazioni di pronto soccorso) sia basati sull'attività ospedaliera (numero di pazienti, gravità, tempi di attesa). Adesso l'obiettivo è arrivare a misurare in modo scientifico, con il Nedocs, anche il sovraffollamento dei pronto soccorso italiani. È in corso uno studio multicentrico che coinvolge Emilia, Toscana, Lombardia, Liguria, Veneto e Lazio. «I risultati sono attesi per fine estate - dice Barletta -. Fotografare con precisione il problema è indispensabile per risolverlo».
Sono state messe in campo anche altre misure virtuose. In Toscana, con un decreto dell'11 dicembre 2009, hanno debuttato le «Discharge Room», aree dell'ospedale dedicate ai pazienti che devono essere dimessi, che in questo modo possono liberare la camera alle 13. In Lombardia dallo scorso ottobre sono stati attivati 880 letti destinati ai pazienti sub-acuti, soprattutto anziani, che possono essere dimessi dall'ospedale ma non ancora in condizioni di essere adeguatamente assistiti a casa per la complessità del quadro clinico. «È un sistema per decongestionare i reparti, in modo da non intasare i pronto soccorso - spiega il supermanager della Sanità lombarda, Carlo Lucchina -. L'obiettivo è intercettare anche i pazienti cronici che, al bisogno, possono rivolgersi alle strutture dedicate ai sub-acuti, invece che al pronto soccorso». Nel Lazio, con una delibera del 3 novembre 2009, è stata introdotta la figura del «facilitatore dei processi di ricovero e dimissione»: «Il problema - ammette Barletta - è che il provvedimento è rimasto sulla carta». Ma per disincentivare gli accessi inutili al pronto soccorso è necessario anche riorganizzare le cure al di fuori dell'ospedale. Lì, sul territorio. Così il ministro della Salute Renato Balduzzi punta sul progetto «Medicina 24 ore» che prevede ambulatori e studi medici in funzione 7 giorni su 7 dalle 8 alle 20. Un'offerta, dunque, più ampia di quella che solitamente viene offerta oggi dai medici di famiglia.

di Simona Ravizza

La versione integrale di questo articolo è presente sul sito
http://www.corriere.it/

Redatto da Raimondo per Niente Barriere
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