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Ha dell’incredibile ciò che sta accadendo in Grecia. Si sta ammazzando un popolo per garantire la solvibilità del debito pubblico. Ciò, senza tener conto che alla fine della cura i danni all’economia del paese saranno più gravi della paventata insolvenza dello Stato verso i suoi creditori. Le misure di austerity che il governo Papademos sta portando avanti, pressato dall’Unione europea, hanno già innescato una spirale recessiva che non ha precedenti nella storia recente di quel paese. Chiudono opifici e negozi, i supermarket sono vuoti, migliaia di famiglie sono precipitate nel girone della povertà estrema, tenti automezzi girano senza assicurazione, gli uffici di collocamento sono tutti i giorni letteralmente presi d’assalto da masse di senza lavoro. Cos’è questo se non default, fallimento, baratro, tragedia di un intero paese? Bisognerebbe intendersi una volta per tutte sul significato di fallimento, o, all’inglese, di default, che suona più chic.
Se la Grecia, allo scadere delle sue obbligazioni verso banche ed altre istituzioni finanziarie, dichiarasse la sua volontà di non pagare i debiti, o comunque di non pagarli adesso, cosa accadrebbe? Per il popolo accadrebbe qualcosa di più grave di quanto già sta accadendo? Non credo proprio. Credo invece che se il governo tecnocratico seguiterà a farsi guidare nelle sue strategie di fuoriuscita dalla crisi dalla burocrazia europea, dai bureau della Bce e del Fmi, per quel paese sarà la morte civile.
Il nuovo piano di rigore varato dal governo, con l’accordo di tutti i partiti che lo sostengono, prevede in uno scenario già disastrato una nuova serie di misure che annichiliranno qualsiasi capacità di reazione del paese. Basta dire che dovranno essere licenziati altri 15 mila lavoratori nel comparto pubblico, che saranno ridotti di un altro 22% i salari minimi, che scenderanno così a 450-500 euro mensili.
Si può pensare ad una ripresa dell’economia in queste condizioni? È da pazzi pensarlo. Con queste nuove misure i consumi scenderanno ancora di più e l’intera economia produttiva colerà a picco.
C’è poco da fare: questa crisi del debito sta mostrando tutta la follia di un sistema in cui l’economia di carta sta uccidendo quella reale, che produce, che impiega lavoratori in carne ed ossa, che soddisfa le esigenze di una comunità.
La vicenda greca, che ha molti punti in comune con quella italiana, costituisce un campanello d’allarme anche per noi, che con leggerezza ci siamo affidati al comitato di crisi guidato da Mario Monti. Certo, l’Italia è un paese più solido, più importante, con economia più strutturata e qualificata, ma i segnali di un fallimento per asfissia dell’economia ci sono tutti.
Continuando di questo passo, in attesa che le cure dei tecnocrati avranno i loro effetti, in Grecia oggi, forse in Italia domani, il malato sarà già morto da un pezzo.
Luigi Pandolfi
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Un breve documentario, intitolato "Faremo la Stessa Fine?", realizzato da Mauro Merlino del Movimento della Rete, alza il velo finalmente sulle reali condizioni di vita dei cittadini greci, alle prese in questi giorni con l'ennesimo inasprimento delle misure di austerity. A parlare sono lavoratori, uomini, donne e studenti. Una testimonianza sconcertante sulle conseguenze materiali della crisi.
Siamo tutti greci.
Un breve documentario, intitolato "Faremo la Stessa Fine?", realizzato da Mauro Merlino del Movimento della Rete, alza il velo finalmente sulle reali condizioni di vita dei cittadini greci, alle prese in questi giorni con l'ennesimo inasprimento delle misure di austerity. A parlare sono lavoratori, uomini, donne e studenti. Una testimonianza sconcertante sulle conseguenze materiali della crisi.
fonte http://tv.agoravox.it/
Siamo tutti greci.
I prossimi potremo essere noi.
Συμπαράσταση στον Ελληνικό λαό!!!
1 commento:
curare con nuovi debiti i debiti vecchi non è certamente la cura migliore . Adesso ci vorranno decenni prima che si riprendano dal caos economico... speriamo che Monti non ceda alle pressioni di Alemanno e lo mandi a cagare sulle olompiadi 2020 che sono state una spesa mai coperta dal governo greco, per quelle del 2004.
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