INDAGINE CENSIS. Sono più di 4 milioni le persone disabili, che scontano ancora pregiudizi e discriminazioni. Ruolo centrale della famiglia e istituzioni quasi sempre "invisibili".
MILANO - Una persona su due ha paura di trovarsi un giorno a vivere la disabilità in prima persona o a doverla sperimentare in famiglia. Il 34,6% degli italiani teme di poter offendere involontariamente o ferire la persona disabile con parole e comportamenti inopportuni. C’è poi chi prova indifferenza: il 14,2% della popolazione non si sente toccato minimamente dal problema, forse perché rimuove un mondo che non vuole conoscere. Tra discriminazioni e pregiudizi duri a morire, la disabilità suscita ancora paura, disagio e imbarazzo, secondo una ricerca del Censis realizzata su un campione di 1.500 persone, rappresentativo della popolazione italiana, nell’ambito del progetto pluriennale "Centralità della persona e della famiglia nei sistemi sanitari: realtà o obiettivo da raggiungere?" promosso dalla Fondazione Cesare Serono.
ACCETTATI SOLO A PAROLE - La maggior parte degli italiani prova comunque solidarietà (91,3%) e ammirazione per la forza di volontà e la determinazione che una persona disabile comunica (85,9%). Ma con sentimenti che oscillano tra la partecipazione umana e la paura, diventa difficile costruire una relazione con chi vive la disabilità. Secondo i dati del Censis, due terzi degli intervistati ritengono che siano accettate solo a parole soprattutto le persone con disabilità mentale; nei fatti, invece, vengono spesso emarginate e discriminate. Ma c’è una disabilità che si vede e una invisibile. Circa il 63% degli italiani ha una immagine della disabilità esclusivamente in termini di limitazione del movimento. Spiega una delle curatrici della ricerca, Ketty Vaccaro: «Si sovrastima la disabilità motoria, ma si sottovaluta la disabilità legata all’età e alla non autosufficienza». Di fronte a una persona giovane o adulta, apparentemente senza malformazioni o mutilazioni, costretta in sedia a rotelle o che ha bisogno di bastoni e stampelle per camminare, il 68,7% degli intervistati pensa che abbia avuto un incidente. Solo 1 italiano su 10 riconduce la disabilità a una probabile malattia neurologica, come la sclerosi multipla, l’ictus o la malattia di Parkinson.
LUOGHI COMUNI - Ma quanto è diffusa tra gli italiani la corretta conoscenza di alcune specifiche forme di disabilità? L’82,9% del campione afferma di conoscere la sindrome di Down, ma per 2 italiani su 3 le persone che ne soffrono si assomigliano tutte tra loro, sia esteticamente che come carattere. La malattia di Parkinson è conosciuta dal 66,5% degli intervistati, ma quasi 2 persone su 3 la confondono con la malattia di Alzheimer, perché convinti che i primi sintomi del Parkinson siano le perdite di memoria e il disorientamento nel tempo e nello spazio. La sclerosi multipla, poi, è conosciuta da quasi il 65% degli italiani: di questi, circa 2 su 3 hanno l’errata convinzione che coloro che ne soffrono abbiano un’aspettativa di vita molto inferiore alla media, mentre il 60,7% pensa che con la sclerosi multipla non sia possibile vivere una vita normale. Meno conosciuto è l’autismo (noto solo al 59,9% del campione). Anche se la stragrande maggioranza (93%) sa che causa una serie di disturbi e difficoltà del movimento, è duro a morire il luogo comune sulla presunta genialità degli autistici nella matematica, nella musica o nell’arte (lo pensano 3 italiani su 4).
QUANTI SONO I DISABILI - Secondo il Censis sono 4,1 milioni le persone disabili che vivono in Italia, pari al 6,7% della popolazione. Secondo i calcoli dell’Istat sono invece 2,6 milioni. Ma come mai questa differenza di "numeri"? Prova a spiegarlo Vaccaro: «Nella nostra indagine la disabilità è frutto di una valutazione soggettiva: abbiamo chiesto agli intervistati di quantificare la presenza di una persona disabile dentro casa. Per questo, riteniamo che si tratti di una stima accettabile che dà l’idea di quanto sia importante il peso e il coinvolgimento della famiglia».
FAMIGLIE SOLE - Nel nostro Paese c’è un esercito di mamme, zii, nipoti che «si donano e si sacrificano», secondo Giuseppe De Rita, presidente del Censis. Che aggiunge: «La disabilità è ancora vista come un intralcio perché non permette di dare prestazioni in una società in cui domina la cultura del "fare". Ed è allora la famiglia che si occupa dell’anziano non autosufficiente o del ragazzo down». Le istituzioni, invece, sono spesso ancora "invisibili", anche perché, sottolinea De Rita: «Esiste un rapporto distorto tra la domanda, prevalentemente socio-sanitaria, e l’offerta da parte delle istituzioni, che rimane soprattutto sanitaria, in termini di farmaci, esami, ospedalizzazione». E «a volte rimane ancora difficile accedere al servizio sanitario nazionale, nonostante le diverse performance delle realtà regionali - ammette il sottosegretario alla Salute, Francesca Martini -. Quanti medici hanno uno studio accessibile? Quanti ginecologi hanno un lettino elettrico per poter visitare una donna con disabilità motoria?». Di fronte all’aumento delle persone disabili, «una grande sfida» ci attende. «La qualità della vita di chi vive anche una grave disabilità - conclude Martini - non può prescindere dalla presenza di un progetto individualizzato per la persona e per la famiglia».
Maria Giovanna Faiella
La versione integrale di questo articolo è presente sul sito http://www.corriere.it/
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