29 giugno 2013

Malattie reumatiche, oltre 100 mila senza nuove cure


‘Assenti’ per dolore dal lavoro e dalla vita circa 4 ore ogni giorno. Non hanno la forza di sfilare in corteo o alzare striscioni per chiedere le migliori cure possibili, quelle a cui avrebbero diritto. Hanno una malattia di cui non si muore ma a causa della quale si soffre molto per tutta la vita.

Anche se volessero protestare non potrebbero farlo, perché devono lottare ogni giorno contro il dolore e l'invalidità provocati da artrite reumatoide, spondiliti o artrite psoriasica, malattie reumatiche immunoinfiammatorie fra le più gravi e disabilitanti. Nel nostro Paese sono oltre 700mila e, secondo le indicazioni delle più recenti Linee Guida nazionali e internazionali, 150mila pazienti, pari al 20% che non risponde alle terapie convenzionali protratte per 3 mesi, dovrebbero ricevere i farmaci biologici, le cure più innovative ed efficaci in grado di neutralizzare le cellule coinvolte nel processo infiammatorio e di ridurre o fermare la progressione delle malattie. Ma in Italia vengono trattati appena 50mila pazienti. Infatti, dei 70mila con artrite reumatoide che avrebbero bisogno dei biologici appena 20mila sono in trattamento; dei 40mila malati di spondiloartrite elegibili ricevono i biologici solo in 20mila, e dell’analogo numero dei pazienti con artrite psoriasica da trattare con biologici, solo 10mila di essi praticano tale terapia. Lo hanno denunciato gli esperti in occasione del convegno "L'appropriatezza prescrittiva dei farmaci biologici quale strumento di risparmio per la collettività", sottolineando che nei pazienti trattati con biologici, a distanza di un anno dall’inizio della terapia, decresce la disabilità grave, le assenze dal lavoro diminuiscono di 10 ore a settimana, con un risparmio stimato intorno a 500 milioni di euro e  la produttività aumenta di 110 euro a settimana, con un altro mezzo miliardo di risparmi possibili. Purtroppo, l'Italia è il fanalino di coda dell'Europa industrializzata nell'impiego di queste terapie all'avanguardia: nel nostro Paese si spendono appena 500 milioni di euro contro 1,5 miliardi della Germania, circa 950 milioni della Francia, circa 800 milioni della Spagna e 700 milioni del Regno Unito.

“ L’introduzione di queste terapie ha rappresentato una vera rivoluzione per i malati reumatici, incidendo molto favorevolmente sulla loro qualità di vita. - spiega Giovanni Minisola, past President della Società Italiana di Reumatologia e Primario della Divisione di Reumatologia dell’Ospedale di Alta Specializzazione “San Camillo” di Roma – Sono terapie costose, perché un anno di trattamento con biologici costa circa 10mila euro a paziente; tuttavia, il risparmio possibile erogandole agli ulteriori 100mila italiani che ne avrebbero bisogno ma che attualmente ne sono esclusi, abbatterebbe i costi indiretti pari a 1,7 mld di euro, aumentando la capacità lavorativa e la produttività delle persone colpite, con un risparmio di 1 mld di euro all’anno. Ogni giorno, infatti, i pazienti con una malattia reumatica cronica di grado severo non trattati, impiegano un'ora e mezza in più rispetto a chi non è malato solo per iniziare la giornata: pettinarsi, prendere un caffè, lavarsi. Ognuno di loro, inoltre, se non trattato in maniera adeguata, perde in media 12 ore di lavoro a settimana e 216 euro per mancata produttività. Per lo Stato tutto ciò ha un impatto economico enorme: ogni anno vanno in fumo 1,7 miliardi di euro per colpa delle giornate lavorative perse (600 milioni di euro) e della ridotta efficienza produttiva (1,1 miliardi di euro)".
La maggioranza dei pazienti con patologie reumatiche ha fra i 45 e i 64 anni, è cioè nel pieno della vita lavorativa attiva. Le malattie reumatiche sono oggi la prima causa di assenze dal lavoro e la seconda causa di invalidità, responsabili della metà delle assenze superiori ai tre giorni, del 60% dei casi di inabilità al lavoro e del 27% delle pensioni di invalidità erogate dallo Stato. "Per i pazienti tutto questo si traduce in un dramma personale e famigliare: quattro su dieci sono costretti prima o poi a rinunciare al lavoro o a cambiarlo e per il 10% le entrate economiche si riducono drasticamente, senza contare le difficoltà quotidiane da superare dovendo convivere con malattie che limitano i movimenti e provocano dolore - dice Minisola -Purtroppo, oggi in Italia c’è una scarsa attenzione nei confronti dei problemi che le malattie reumatiche creano e c’è scarsissimo interesse dei decisori rispetto alle esigenze dei pazienti, mentre è eccessiva e poco oculata l’attenzione dedicata ai costi dei farmaci. Potremmo risparmiare, se avessimo la lungimiranza di curare con i farmaci biologici tutti coloro che ne hanno bisogno e ne potrebbero perciò trarre grande giovamento: costa di meno trattare questi pazienti che affrontare le perdite dovute al calo di produttività connesso a malattie curate in modo tardivo e inappropriato".

 Oggi spendiamo circa 500 milioni di euro per le terapie con biologici e si prevede che investiremo sempre meno per le cure se la tendenza attuale non sarà modificata. Nello stesso tempo, però, cresceranno i costi indiretti proprio a causa di terapie inadeguate e insufficienti. "Le conseguenze socioeconomiche e lavorative di queste patologie sono ben più pesanti rispetto ai costi sostenuti per curarle. Eppure in Italia, rispetto agli altri Paesi europei, i biologici sono ancora usati poco e con una estrema disparità da regione a regione - fa notare Minisola - Mantenere il benessere dei pazienti, quindi, non è importante solo per tutelare la loro salute e la loro qualità di vita, che pure devono essere obiettivi primari della cura, ma anche per preservare la loro produttività: la salvaguardia della salute deve rappresentare un investimento e non un costo. L'analisi dei dati scientifici ed epidemiologici a nostra disposizione dimostra che la soluzione al problema deve passare attraverso tre linee d’intervento: l’organizzazione di una rete assistenziale che consenta una diagnosi precoce, una terapia tempestiva, un adeguamento alle linee guida dell’intervento terapeutico. Anche l'industria farmaceutica sta ipotizzando proposte per far sì che i costi diretti correlati alle cure siano più affrontabili dallo Stato, anche in tempi di spending review: ne sono esempio il "cost sharing", attraverso il quale si pratica uno sconto sul prezzo per il ciclo iniziale della terapia erogata a tutti i pazienti elegibili, e la "success fee", formula simile a una sorta di "soddisfatti o rimborsati" per cui l'azienda anticipa il pagamento e l'ospedale spende solo se c'è una risposta terapeutica”.

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