21 maggio 2011

Malasanità, Costose attrezzature e sprechi. Ecco perché in Italia la Sanità non funziona.

(malasanità vignetta ilnord.com)


Dieci mesi per una mammografia nell'ospedale di Frosinone, addirittura tre anni per un eco doppler a Latina. Senza contare l'allarme infezioni nella terapia intensiva delle Molinette di Torino. Dopo gli scandali negli ospedali italiani, Alberto Bencivenga, specialista in chirurgia generale all'ospedale di Roma e Firenze, lancia su Affaritaliani.it la sua denuncia sul cattivo funzionamento della Sanità italiana. "Tornato in Italia, dopo 42 anni spesi a praticare chirurgia e ad insegnarla all'università in due Paesi europei (Germania e Svizzera) e due africani (Somalia, quando questa terra era un paradiso terrestre, e Kenya), mi sono scandalizzato per quello che ho trovato". Poi spiega: "Costose attrezzature, sprechi e tempi lunghissimi di degenza dove si possono anche contrarre le malattie più svariate. Ecco perchè la sanità in Italia funziona peggio che in Kenya". E infine ad Affari svela il metodo per far eccellere a livello mondiale le prestazioni cliniche italiane.

LA DENUNCIA

1 - ATTREZZATURE COSTOSE MA PRESTAZIONI CARENTI- Le costose attrezzature ospedaliere in Italia sono ovunque usate in modo insufficiente ed antieconomico, dato il sistema organizzativo dei nostri ospedali, anche se non tutti sanno che il numero di letti ospedalieri pubblici pro capite è in Italia di gran lunga maggiore che in Germania, cioè nel Paese con, probabilmente, il miglior sistema sanitario pubblico del mondo, un sistema che è assolutamente privo dei ben noti e scandalosi ritardi delle prestazioni cliniche disponibili in Italia. Tutti sanno che cosa succede, per esempio al CTO a Roma, che mi piacerebbe di dirigere per un po’ di tempo, anche senza stipendio, solo allo scopo di dimostrare con che facilità se ne potrebbe fare un ospedale di fama internazionale (ci porterei in comodato d’uso, ma riservandomene la proprietà, oltre un milione di dollari dei più sofisticati strumentari per la chirurgia dei traumi e per endoprostesi ortopediche).

Che fare per sfruttare al meglio le nostre attrezzature ospedaliere? Basta seguire l’esempio di quello che si fa quasi ovunque altrove nei paesi civili e, cioè, permettendo a qualunque specialista che lo richieda, di essere accreditato da un determinato ospedale per lavorarci (naturalmente questa accreditazione si dà soltanto a specialisti che il loro curriculum dimostra essere sicuramente competenti e che vengono, quindi, avallati dall’Ordine dei Medici).

Gli specialisti accreditati di ogni reparto eleggono fra loro un capo-servizio ogni due o tre anni, a rotazione. Nel caso delle specialità chirurgiche, esisterà anche un Consiglio permanente delle sale operatorie, in cui siedono tutti i chirurghi e gli anestesisti accreditati e una rappresentanza del personale infermieristico di sala operatoria. Questo consiglio, che si riunisce a scadenze fisse ed almeno una volta ogni mese, è competente a decidere le routine e le modalità d’uso del reparto operatorio. Ogni giorno, a rotazione, uno degli specialisti accreditati per ciascuna specialità è di accettazione e sarà responsabile del trattamento dei pazienti ricoverati d’urgenza nel suo giorno di guardia, oltre che dei trattamenti di pazienti da lui studiati in ambulatorio e ricoverati per le terapie del caso. Questo specialista sarà pagato non a stipendio, ma per le singole prestazioni effettivamente effettuate e riceverà la pro-rata dedotta dal costo generale pagato all’ospedale dalle assicurazioni o dal Sistema Sanitario Nazionale, riferita alle prestazioni effettivamente effettuate. Le terapie necessarie le attuerà assistito dagli assistenti dell’ospedale, che debbono tutti essere allievi della relativa scuola di specializzazione e che, invece, percepiscono uno stipendio dall’ospedale, che può essere cumulato con un’eventuale borsa di studio per la scuola di specializzazione.

Gli specialisti accreditati non possono esercitare al di fuori dell’ospedale accreditante, il quale però fornirà loro gratuitamente servizi di segreteria, di amministrazione e di ambulatorio. Naturalmente, il malato che volesse cambiare specialista curante, può farlo liberamente, seguendo un semplice protocollo predefinito. Una mentalità comune o una scuola, come si diceva in passato, si forma gradualmente mediante l’istituzione dei meeting, che in italiano potremmo chiamare incontri clinici, a scadenze fisse almeno mensili, ed a cui partecipano tutti i medici che lavorano nell’ospedale ed i medici di base che sono interessati. Di questi incontri clinici, i più importanti sono i seguenti: a) Incontro clinico sulla mortalità, in cui si discutono tutti i casi di pazienti deceduti, con lo scopo di rispondere alla domanda, se la morte era evitabile o no; b) Incontro clinico sulle complicazioni e sulle infezioni; c) Incontro clinico-radiologico, in cui ciascun clinico descrive il caso e spiega perché ha richiesto un particolare esame diagnostico per immagini e viene seguito dal radiologo che illustra i risultati ottenuti e, eventualmente, indica il tipo di esame che sarebbe stato più utile nella fattispecie attuale; d) Incontro clinico su casi speciali, in cui ciascun clinico illustra i casi di particolare interesse scientifico osservati nel mese appena passato. Inutile dire che gli assistenti ed i tirocinanti sono obbligati a partecipare a tali meeting e che se gli specialisti accreditati disertano tali meeting, perdono il diritto di operare nell’ospedale.

Questo sistema, che attua la regola aurea che il mio professore di storia e filosofia al liceo cercò di insegnarci e, secondo cui, sono buone solo quelle leggi che creano nella maggioranza l’interesse ad obbedirle, pone in essere negli specialisti accreditati nell’ospedale un sano desiderio di eccellere nella loro opera didattica, nelle loro prestazioni cliniche e nel loro modo di trattare i pazienti, allo scopo di crearsi una reputazione tale per cui sono scelti da più pazienti possibile e, di conseguenza, guadagnano di più. Questo sistema, se applicato anche in Italia, avrebbe anche l’effetto collaterale non di poco conto di abolire in brevissimo tempo lo sconcio delle liste di attesa, per terapie magari urgenti.

2- PREZZI DEI PRESIDI GONFIATI- I vari importatori di presidi medico-chirurgici in Italia si sono informalmente messi d’accordo per gonfiare i prezzi a dismisura. Solo per dare un’idea della vastità del fenomeno, riporto quando ho potuto osservare direttamente: una placca a T da osteosintesi per chirurgia della mano che in Svizzera, dove è prodotta, costa, al minuto, 14 franchi e 70 centesimi (quindi meno di 10 Euro) che ho, usata tempo fa qui a Roma per una rizartrodesi con una tecnica da me inaugurata e pubblicata nel 1977, ci è stata fatturata da un fornitore ben 600 Euro. Recentemente, ad una casa di cura che conosco bene, per un trapano da ossa che in Svizzera si acquista a 7.000 franchi, è stato fatto un preventivo di 40.000 (sì, quarantamila!) euro!
Questo fatto ha anche altre conseguenze spiacevolissime per i pazienti italiani, che cercherò qui di spiegare. Siccome il Sistema Sanitario Nazionale non paga le case di cura e gli ospedali a piè di pagina, ma a forfait, cioè a cifre prefissate per ciascuna patologia, è ovvio che, per rientrarci con le spese, gli amministratori sono costretti in tutti i modi a risparmiare il più possibile sugli acquisti. Questo fa sì che, anche chirurghi aggiornati e competenti, quando si tratta di impiantare, per esempio, una protesi d’anca, sono spesso costretti ad usare protesi obsolete, che, se le usassero in Germania, in Svizzera o in Kenya, li porterebbero in tribunale.

Mi spiego per i non addetti ai lavori: le protesi d’anca comunemente usate fino a qualche anno fa, erano fatte di una coppa emisferica acetabolare di polietilene, accoppiata con una testa femorale di metallo. Questa soluzione, anche se garantiva un regime funzionale di bassa frizione, produceva una ben nota serie di inconvenienti dovuti alla liberazione per attrito di microparticelle di polietilene, capaci di provocare con una frequenza frustrante l’instabilità secondaria, che costringe a cambiare la protesi dopo un certo tempo, con un’operazione molto più indaginosa che la semplice inserzione iniziale della protesi stessa e, potenzialmente, gravida di complicanze anche serie. Il passaggio all’accoppiamento di polietilene con ceramica, ha dimezzato il problema e il progressivo sviluppo dei materiali ha fatto sì che, oggi, nei paesi civili, vengono prevalentemente usate protesi in cui l’articolazione non avviene più fra polietilene e metallo o polietilene e ceramica, ma fra metallo e metallo (protesi di Metasul) o fra ceramica e ceramica, che hanno moltiplicato di varie volte la potenziale durata funzionale delle protesi articolari. Siccome queste protesi moderne costano un po’ di più delle precedenti e considerata la scandalosa esosità degli importatori in Italia, è perfettamente comprensibile che gli amministratori di ospedali e di case di cura costringano i loro chirurghi ad usare le protesi più antiche e meno costose di polietilene e metallo, col risultato pratico che i pazienti italiani, per lo più, non possono ricevere le terapie più moderne che invece sono ovvie in Germania, Svizzera e Kenya! Evidentemente, lo stesso avviene per materiali da sutura e da medicazione.

Che cosa si può fare per ovviare a questo vergognoso inconveniente? Una semplice leggina che vietasse di vendere in Italia presidi medico-chirurgici importati dall’estero ad un prezzo superiore a quello al minuto praticato nel paese di produzione, aumentato soltanto delle documentate spese di importazione, pena 5 anni di prigione ed il rimborso al Sistema Sanitario Nazionale delle cifre illegalmente lucrate in eccesso risolverebbe immediatamente il problema. Le rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, potrebbero tempestivamente ottenere le informazioni sui costi eventualmente richieste dal Sistema Sanitario Nazionale in occasione di eventuali contestazioni.
Oltretutto, questa leggina toglierebbe dalle mani degli importatori le grosse somme che hanno per corrompere chirurghi corrompibili, pagando loro, sotto banco, mazzette per far loro eseguire osteosintesi non necessarie e far loro usare sistematicamente solo placche viti e chiodi di costosissimo titanio anche quando si dovrebbero usare i poco costosi impianti d’acciaio, che sono obbligatori in traumatologia!

3- SPRECO DI MEDICINE- Se un paziente ha bisogno di 5 compresse di aspirina, il medico di base italiano gli dà una prescrizione per un tubetto da 20 compresse. Le 15 in soprannumero finiscono in uno stipo nel bagno di casa o nel secchio delle immondizie, Quanti milioni di Euro costa ogni anno al Sistema Sanitario Nazionale questa pratica idiota? L’inconveniente può essere facilmente ovviato facendo fare anche in Italia quello che si fa in tutti i paesi civili: il medico scrive sulla sua ricetta, oltre alla posologia, anche la quantità di farmaco che il paziente deve assumere; il farmacista apre una confezione ospedaliera (di per sé meno costosa), preleva il numero di compresse o di fiale indicato nella ricetta, le mette in una scatolina con su scritto il nome del malato, il nome del medico che ha fatta la prescrizione e la posologia e consegna il tutto al paziente.

4- PASSAGGI INUTILI- In Italia si buttano milioni di euro dalla finestra ogni giorno per studiare pazienti, anche per cose di routine, a causa di continue ed inutili ripetizioni. Qui, un paziente va dal suo medico di famiglia che gli fa fare una serie di esami di laboratorio e radiologici. Poi, eventualmente, gli dice che ha bisogno di essere visto da uno specialista. Il paziente va dallo specialista che, naturalmente, gli fa fare ancora una batteria di indagini diagnostiche, fra le quali, il più delle volte, anche quelle che il paziente ha già fatto su richiesta del medico di base pochi giorni prima. Poi, se il paziente viene ricoverato in ospedale, il tutto si ripete, inutilmente, per la terza volta. Moltiplichiamo questo processo per l’intero numero nazionale di pazienti che ogni anno ricorrono al medico e arriveremo a cifre da capogiro!

Che succede nei Paesi civili? Anzitutto, se un paziente va direttamente da uno specialista, questi non si sogna neppure di riceverlo e gli fa dire dalla segretaria di andare prima dal medico di base. Il medico di base, se lo ritiene utile o necessario, invia il paziente allo specialista, sempre e obbligatoriamente accompagnato da una dettagliata lettera in cui scrive le sue osservazioni, i risultati degli esami da lui già fatti eseguire ed il suo quesito diagnostico, per cui lo specialista non ripete le indagini che sono già state fatte. Lo specialista risponde con una lettera altrettanto dettagliata al medico di base del paziente, lettera che copia all’ospedale, se il paziente ha bisogno di ricovero e neppure l’ospedale si sogna di ripetere gli esami già fatti, a meno che non ci sia una precisa, eccezionale necessità. All’atto della dimissione, l’ospedale manda obbligatoriamente un dettagliato rapporto scritto a chi ha inviato il paziente e, sempre, al medico di base del paziente stesso. E se qualcuno si dimentica di scrivere queste lettere o le scrive con dati imprecisi, può passare seri guai con l’Ordine dei Medici!

Questo sistema di mettere tutto per iscritto, ha anche un enorme beneficio collaterale, impedendo la faciloneria ed il pressappochismo di alcuni medici, poiché chiunque, in futuro, potrà accorgersi se sono state fatte o scritte scemenze o cose non lege artis! Per esempio, avrebbe evitati i costi che il Sistema Sanitario Nazionale ha dovuto sostenere per un paziente da me visto poco tempo fa, con una rottura sottocutanea del tendine di Achille ed un gesso da ben 6 mesi! Questa particolare lesione si diagnostica ponendo il piede in dorsiflessione e palpando con un dito il tendine: quando si trova un infossamento, si capisce che il tendine è rotto. Il paziente da me visto aveva con sé ben tre risonanze magnetiche e due ecografie, esami assolutamente inutili nella fattispecie attuale, ma indubbiamente costosi. Dissi al paziente che andava operato e fui sorpreso nel sentirmi rispondere testualmente: “Ma il professore mi ha detto che devo portare il gesso ancora per molti mesi”. Per carità di patria non tradussi al paziente il vero significato di quell’affermazione, che deve essere stato il seguente: “Io non so fare questa operazione perché ogni volta che l’ho fatta in passato, ho sempre avuto risultati disastrosi, però non voglio perdere nè la faccia nè i guadagni che ho continuando a visitare più volte questo paziente e facendogli un gesso dopo l’altro e allora, gli dico che questa lesione si cura solo col gesso”. Quali sono stati i costi finanziari e sociali provocati da questa incompetente “terapia”? Se quel “professore” avesse lavorato in un ambiente in cui tutto si deve mettere per iscritto, come si fa nei paesi civili, avrebbe avuto il coraggio di affermare che le rotture del tendine d’Achille si curano solo con mesi e mesi di gesso?

5- LUNGO DEGENZE CAUSE DI ALTRE INFEZIONI- Se andate negli equivalenti tedeschi o svizzeri delle nostre ASL, trovate una stanzetta di pochi metri quadrati con degli archivi ed uno o due tavoli a cui siedono, al massimo, uno o due impiegati, che provvedono ad istruire le pratiche per i pagamenti dei medici che hanno prestato i loro servizi ai cittadini malati. Però, esiste un controllo spietato sulla qualità delle prestazioni sanitarie erogate, come ebbi modo di apprendere quando lavoravo come caporeparto alla Clinica Chirurgica dell’Università di Tubinga, dove, se un paziente non veniva dimesso, dopo una laparotomia, in VIII giornata, arrivava puntualmente il medico controllore della Krankenkasse (l’organizzazione mutualistica) a vedere perché. Mi informai ed appresi così dell’esistenza di un sistema per cui, se, per esempio, in un ospedale c’era una frequenza inaccettabile di ritardi nella dimissione dovuti a suppurazioni della ferita chirurgica, partiva immediatamente una lettera diretta ai medici di base della zona che invitava a non inviare più i loro pazienti in un posto dove c’erano troppe complicanze settiche!

Questa riduzione di invii, avrebbe causato una riduzione dell’occupazione dei letti e questo è uno dei parametri, insieme con altri, per la non conferma del primario o direttore, al biennale giudizio di competenza. Questo giudizio si fonda sul comportamento statistico dei seguenti parametri: tasso di occupazione dei letti, tasso di complicazioni, tasso di mortalità corretta (corretta, perché è chiaro che la mortalità di un reparto di neurochirurgia specializzato in tumori del cervello sarà più alta di quella di un reparto specializzato in chirurgia cosmetica) e tasso di concomitanza fra diagnosi cliniche e diagnosi anatomo-patologiche. Questo sistema ha anche altre utilissime ricadute. Per esempio, siccome per l’ottenimento della specializzazione in chirurgia serve in quei paesi un numero minimo di interventi chirurgici personalmente eseguiti con successo, è logico che giovani specializzandi preferiscono di non andare a lavorare in un posto dove il capo non fa operare i giovani e, quindi, il numero dei pazienti curati entro l’anno diminuisce per mancanza di personale, esponendo così il primario o il cattedratico alla possibilità di non essere riconfermato alla prossima revisione biennale; però, siccome anche un tasso di complicazioni e di mortalità anormalmente elevato fa perdere il posto al caposervizio, questi si sente obbligato a fare in modo che i suoi assistenti siano addestrati ad operare come si deve, col che si crea un ciclo virtuoso utile a tutti: servizio, pazienti, primari e assistenti!

6- ITALIA PEGGIO DEL KENYA- Anni fa, ho fatto fare in Kenya da un mio studente una tesi di dottorato un po’ particolare. Gli ho fatto prendere 100 strisci dall’asfalto delle strade di Nairobi per farne esami culturali con antibiogramma. Questi esami non hanno mai mostrato alcunché di sostanzialmente pericoloso! Poi gli ho fatto prendere strisci cutanei lungo le più frequenti vie d’accesso alle ossa ad altri 100 malati, cominciando all’atto del ricovero e ripetendoli ogni ora, per 12 ore consecutive. I risultati furono sorprendenti, perché, all’atto del ricovero, si coltivavano pochi e innocenti saprofiti, mentre 8 ore dopo la permanenza in corsia, si coltivavano, in ciascun paziente, tutti i germi più pericolosi, dallo stafilococco aureo all’escherichia coli ed alla klebsiella, tutti abbondantemente antibiotico-resistenti! Col che si fondava scientificamente il principio che la routine più giusta è la seguente: un malato pianificato, va studiato ambulatoriamente e ricoverato mezz’ora prima dell’intervento chirurgico, per farlo arrivare direttamente in sala operatoria senza farlo passare prima per la corsia. Nel caso del traumatizzato acuto, questi deve passare dal pronto soccorso direttamente nella sala operatoria per le emergenze, dove un chirurgo vestito per operare, lo esamina, ottiene le radiografie indicate ed attua immediatamente le cure necessarie. Se il pronto soccorso riceve una frattura esposta, l’arto va immediatamente avvolto in un telino sterile, possibilmente imbevuto di Betadina acquosa e il paziente va portato, subito ed evitando ogni contatto con la corsia, direttamente in sala operatoria, dove viene trattato come sopra.

Tante volte, in casi di politraumatizzati, ho eseguito gli interventi di chirurgia viscerale necessari a salvare la vita e poi, ho lasciato il paziente sul tavolo alle cure dell’anestesista che, una volta rimesso il paziente in sesto, mi chiamava, anche dopo diverse ore, per farmi continuare la terapia con la fase delle osteosintesi! Questo tipo di routine non solo è la migliore profilassi delle infezioni post-operatorie, facendo risparmiare gli enormi costi finanziari e sociali delle complicazioni settiche, ma consente risultati funzionali finali eccezionalmente buoni, evitando i costi sociali di lunghe invalidità temporanee e riducendo drasticamente sia le invalidità post-traumatiche permanenti, sia le complicanze post-operatorie. E così continuo a chiedermi: perché questo mi era possibile in Africa e non si può fare a Roma?  Possibile che qui non si possa fare nulla per portare la medicina del nostro Paese almeno al livello di quella kenyana?

fonte Affari Italiani

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao nienteBarriere, piacere di conoscerti.Il tuo blog è utilissimo, io facevo la stessa cosa all'inizio ma poi ho ceduto il passo a chi sa fare meglio di me, riguardo a questo post concordo, sono una neolaureata infermiera siciliana,, disoccupata mentre ttutte le strutture dichiarano cronica carenza di personale, di fatto da studente ho lavorato gratis e con pieni poteri di infermiere per tre anni...la nostra sanità è costosa e poco efficiente.non c'è dubbio.

Raimondo - Niente Barriere ha detto...

Grazie per la tua preziosa testimonianza mammadifretta, benvenuta a bordo :)