26 dicembre 2011

Il Natale della catastrofe e quello della speranza

(immagine di chiamalasicilia.org)


È tempo di fare i conti con un mondo cambiato. Per non perdere la fiducia di poter migliorare.

Che strano Natale, così poco festaiolo (a Milano hanno anche risparmiato sulle luminarie), così tanto rassegnato e denso di presagi non proprio auguranti.
Desacralizzata oramai quasi completamente la ricorrenza, con buona pace degli appelli papali a sentirci più buoni, non è neanche più la festa dei negozi, quella tanto vituperata dei consumi e del portafoglio che non lesina. Natale di recessione, quella in cui siamo caduti ben prima che ce lo dicessero le statistiche ufficiali, e che nella laconicità dell'espressione rammenta i Natali di guerra. Perché guerra è, solo che la si combatte a colpi di debito e non di cannone.
LA LOTTA CON LA CRISI. Quanto lunga sarà non è dato sapere. La sensazione però è che non ce la caveremo tanto presto, e che occorrerà fare i conti con scenari per nulla tranquillizzanti.
Se serve a consolare, non è soltanto una crisi italiana, ma dell'intero Occidente: l'Europa su tutti, perché di sicuro l'America ha testa e risorse per tirarsene fuori  molto prima.
Noi, invece, siamo troppo occupati a fare i conti con i nostri problemi e a misurare quotidianamente gli spread con l'ansia del malato in cerca di guarigione. Il risultato è l'atteggiamento passivo di chi ha trasformato la sua vita in lotta per la sopravvivenza, e non può più guardare avanti.
SOCIETÀSENZA PROGETTI. Perché la principale colpa di questo modello di sviluppo ora alle corde è l'aver ucciso il senso e le aspettative del futuro. E insieme ad esse il sentimento collettivo di appartenenza a una società, sostituito dal più cinico individualismo.
Non falliscono dunque solo gli Stati, le banche e le aziende, ma un progetto esistenziale e sociale che se ritrova privo del domani e di regole condivise su cui costruirlo.
L’AUSTERITY CHE AMMAZZA. Si può eccepire, e in questo Lettera43.it non ha mai lesinato, sulla bontà delle ricette adottate per uscire dalla crisi. Si può biasimare l'insipienza di terapie che invece di guarire il malato ne aggravano la malattia.
Noi per esempio - ma vedo che anche i nostri lettori non scherzano - continuiamo a considerare la manovra varata dal governo Monti brutalmente recessiva e iniqua. Anche se capiamo che la fretta con cui è stata fatta non potesse che favorire la spremitura dei soliti noti. E che, come sostiene qualcuno, oggi è comunque meglio di quando a Palazzo Chigi c'era Lui e oltre alla crisi ci toccava di sopportare un profondo discredito.
LA DERIVA SPINGE A EST. Ma anche se si poteva fare diversamente rispettando nei fatti la tanto conclamata equità, la sensazione è che comunque un mondo sia per sempre finito, che il suo baricentro si stia spostando altrove, verso Est. È la che ci sono i nuovi padroni, è là che la crescita esiste non solo come auspicio nominale e dove si liberano energie a noi oramai sconosciute.
La nostra civiltà è spossata e senza idee, ripetitiva, tutta votata a salvaguardare le rendite di posizione, a difendere chi è garantito dal dilagare del numero sempre maggiore di chi non ha tutele. Intervenire per arginare la deriva è impresa ardua.
Si invoca la flessibilità del mercato del lavoro in un contesto dove il lavoro non c'è. Si invocano nuove opportunità per i giovani, ma non c'è il becco di un quattrino per incentivarle. Si manda la gente in pensione più tardi senza creare condizioni di welfare che non riducano le persone alla fame.
C'è in giro aria di rassegnazione, se non di catastrofe incombente, che la pausa natalizia forse acuisce perché ci lascia più tempo per pensare.
LA FIDUCIA NECESSARIA. Ma se anche siamo consapevoli che quello che ci aspetta non sarà migliore di quanto ci sta toccando, sarebbe tanto se dopo aver ucciso il futuro non si facesse anche strame della residua speranza di ritrovarlo. Occorre credere e lasciare spazio all'imprevisto, al colpo d'ala possibile, al gesto che salva e che illumina il buio. Senza paura del nuovo e del diverso con cui dovremo per forza convivere.
Ci piacerebbe che Natale potesse essere per tutti un momento per ricordarlo, e crederci ancora.

Domenica, 25 Dicembre 2011

La versione originale di questo articolo è presente su http://www.lettera43.it/

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