di Anna Lisa Bonfranceschi
Un trapianto di cuore autologo. Possibile? Secondo lo studio dei ricercatori guidati dall’italiano Roberto Bolli della University of Louisville, nel Kentucky, pubblicato su Lancet, sì. Basterebbe prelevare delle cellule staminali cardiache dal cuore di un soggetto colpito da un infarto, coltivarle in laboratorio e iniettarle di nuovo nel paziente. Qui infatti, le cellule coltivate in vitro, aiuterebbero il cuore danneggiato a rimettersi in forma, aumentando la quantità di sangue pompato a ogni battito cardiaco. Questi i risultati del trial clinico di fase I (volto quindi a testare solo la sicurezza del trattamento) ottenuti dal team guidato dallo scienziato italiano.
Per verificare gli effetti di una terapia basata sulle cellule staminali cardiache, i ricercatori hanno reclutato 23 persone colpite da infarto, e le hanno sottoposte a interventi di bypass. La procedura tradizionale prevede infatti che per ripristinare le funzioni compromesse dall’ infarto - in cui il sangue che arriva cuore è insufficiente e parte del tessuto cardiaco muore perdendo funzionalità - si debba deviare il circolo sanguigno bloccato con dei bypass. Durante l’operazione i ricercatori hanno inoltre prelevato del tessuto cardiaco da 16 individui, che hanno utilizzato per estrarre e coltivare il laboratorio le staminali cardiache. Dopo l’amplificazione in vitro gli scienziati hanno quindi reintrodotto le cellule (circa un milione per ogni paziente, iniettate per infusione intracoronarica) in vivo nei rispettivi donatori, e hanno osservato nel tempo gli effetti del trapianto.
Confrontando il gruppo dei trattati con quello dei controlli (che avevano cioè ricevuto solo l’intervento di bypass) gli scienziati hanno osservato che la presenza delle cellule staminali cardiache aiuta il recupero del muscolo cardiaco. Dopo un mese infatti il cuore di 14 persone che avevano ricevuto il trattamento aveva migliorato le proprie performance, aumentando dal 30% al 36% la frazione di sangue pompata in un singolo battito dal ventricolo sinistro (in un individuo sano varia dal 50 al 65%). La percentuale dopo quattro mesi saliva al 38%, fino a toccare il 42% in otto pazienti, mentre rimaneva invariata nei controlli.
Eppure, malgrado i promettenti risultati, sia in termini di sicurezza sia di efficacia, qualcuno ha espresso scetticismo sui meccanismi alla base dei miglioramenti osservati, come Michael Schneider dell’ Imperial College London che ha dichiarato al New Scientist: “Non sappiamo quanto dell’effetto sia dovuto alla formazione di nuove cellule cardiache, e quanto sia dovuto all’attivazione di cellule staminali dormienti nel cuore e quanto ancora all’effetto della guarigione, la formazione di nuovi vasi sanguigni e l’infiammazione”. Senza contare che le cellule staminali cardiache non sono le sole a poter essere utilizzate a scopo terapeutico nelle persone colpite da infarto. John Martin dell’ University College London e Anthony Mathur del Barts and The London NHS Trust conducono infatti trial clinici simili, ma con le cellule staminali prelevate dal midollo osseo: più accessibili e più facili da coltivare.
Immagine: flusso sanguigno del cuore umano, i componenti blu indicano il sangue deossigenato e i componenti rossi indicano i percorsi ossigenati.
La versione integrale di questo articolo è presente sul sito http://daily.wired.it/
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