Rossella Urru la cooperante italiana rapita dallo scorso 23 Ottobre 2011 insieme a due colleghi spagnoli nel sud ovest dell'Algeria. |
Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, è uno dei più profondi conoscitori del mondo della cooperazione e dunque delle migliaia di ragazze e ragazzi italiani che, come Rossella Urru, lavorano nelle zone più pericolose e complicate del mondo. Li definisce “ambasciatori”. Perché, al pari dei diplomatici di professione, maa volte con più efficacia, fanno conoscere l'Italia e il mondo occidentale nel suo volto migliore, quello della solidarietà operante, del sostegno concreto a situazioni difficili. E in qualche misura compensano il disimpegno degli Stati, il taglio dei fondi per i paesi in via di sviluppo, l'impressione – sempre più radicata specie negli Stati africani – che dietro l'intervento occidentale ci sia una componente determinante di opportunismo e di cinismo.
Voi, come consiglio italiano dei rifugiati, avete rapporti col Cisp, l'organizzazione non governativa per la quale lavora Rossella Urru. Ci può descrivere la situazione del campo profughi saharawi dove Rossella è stata rapita?
«E' una storia di rifugiati che si protrae da anni, senza che si riesca a trovare una soluzione. Nel campo profughi ci sono oltre centomila persone in una zona desertica.Le condizioni di vita per un occidentale sono estreme, sia per il clima, sia per la distanza da qualunque realtà urbana. Sullo sfondo c'è un conflitto politico tra il Marocco, che ha annesso il Sahara occidentale, e l'Algeria che ha dato rifugio agli saharawi che continuano a rivendicare la loro indipendenza».
Diceva che è una situazione di tensione che si trascina da anni, ma prima del sequestro di Rossella e dei due ragazzi spagnoli i cooperanti occidentali non avevano avuto problema.
«Credo che tutta quell'area risenta degli effetti di quanto è accaduto nel Nord Africa con la primavera araba e soprattutto in Libia con la fine del regime di Gheddafi. E' cominciata la circolazione di una grande quantità di armi che sono entrate in possesso di organizzazioni terroristiche più o meno legate ad Al Qaeda. E' in questo contesto che va collocato il rapimento. Non credo si possa parlare di leggerezza, perché era un evento imprevedibile. E non era nemmeno un' azione mirata perché, per quanto se ne sa, hanno portato via le prime persone che hanno incontrato prima di darsi alla fuga dopo una sparatoria».
Le notizie sono scarse e contraddittorie.
«Sì, questo è l'aspetto più drammatico, più terribile per i familiari. E' una condizione pesantissima. Ma vorrei dire loro che nella stragrande maggioranza dei casi i sequestri si concludono con la liberazione degli ostaggi. Chi li compie può essere animato da interessi politici, economici, di propaganda. Ma non ha interesse a uccide. Perché se questo interesse ci fosse stato l'avrebbero fatto subito. Ci vuole molto coraggio, molta forza, mabisogna considerare questi aspetti razionali».
Lei ha conosciuto molti ragazzi impegnati nella cooperazione. Qual è la principale motivazione che secondo lei li spinge?
«C'è certamente una motivazione che rientra nell'età, nel desiderio di mettersi alla prova. Ma, attenzione, non in modo incosciente. Al contrario, inmodopositivo: mettersi alla prova per crescere, anche per appagare delle curiosità. Sto parlando di un tratto del carattere umano che cambia in meglio il modo. Anche Marco Polo era un giovane così. A questo si aggiunge una motivazione ideale, che può avere una spinta politica o religiosa. Una motivazione umanitaria, fondamentalmente: dedicare la propria vita agli altri, aiutarli concretamente. Di certo questi ragazzi non sono persone che pensano al business come centro dell'esistenza...»
Intende dire che sono anche retribuiti poco?
«Certamente molto al di sotto di quanti svolgono la stessa attività nelle istituzioni, per esempio nelle Nazioni Unite. Le Ong collaborano con l'Onu, ma i loro cooperanti hanno uno status molto diverso. Che presenta anche vantaggi, per esempiouna maggiore libertà, la possibilità di stare più agevolmente in mezzo alla gente».
Cosa si sente di dire ai familiari di Rossella?
«Quanto dicevo a proposito dei sequestri, che nella stragrande maggioranza dei casi finiscono positivamente. So che questo è poco in momenti di tale angoscia, ma è un dato statistico di cui tenere conto, che deve essere di conforto. E poi voglio dire che Rossella ha fattouna scelta che va rispettata. Non ha cercato il rischio, non è vittima di un'azione di guerra. Ha scelto di impegnarsi per il prossimo. Credo che in questo abbia portato in quel territorio il meglio del bagaglio culturale del suo paese, l'Italia, e della sua terra, la Sardegna».
27 dicembre 2011 - Giovanni Maria Bellu
La versione originale di questo articolo è presente su http://www.sardegna24.net/
Vedi anche
http://www.rossellaurru.it/
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