16 aprile 2013

Resistenza agli antibiotici: la catastrofe imminente e le colpe di “Big Pharma”

Di Enzo Pennetta

GB: allarme sulla resistenza ai farmaci «Minaccia grande quanto il terrorismo», questo il titolo apparso l’11 marzo sul Corriere della Sera. Ma le responsabilità sono delle industrie farmaceutiche. 

Forse ha ragione la BBC nel titolare Antibiotics resistance ‘as big a risk as terrorism’ – medical chief un servizio dell’11 marzo scorso nel quale si lancia l’allarme sulla sempre minore efficacia degli antibiotici attualmente disponibili nel contrasto alle infezioni.

La notizia è stata prontamente ripresa anche dal Corriere della Sera che nello stesso giorno ha pubblicato un articolo intitolato Gb, allarme sulla resistenza ai farmaci «Minaccia grande quanto il terrorismo», nel quale si legge:
Una minaccia paragonabile a quella di un attacco terroristico, un rischio “catastrofico” per l’umanità. Con questi termini Dame Sally Davies, la chief medical officer del Regno Unito (consulente governativa per la sanità pubblica), parla della resistenza agli antibiotici, ovvero il rischio di contrarre infezioni che non possono essere curate con i farmaci esistenti. 
La minaccia è presente negli ospedali, luoghi nei quali si possono contrarre più facilmente infezioni e dove sono presenti ceppi batterici maggiormente resistenti perché sottoposti ad una selezione più intensa (si tranquillizzino gli amici darwinisti, si tratta di ceppi selezionati, non evoluti…).
Il dato preoccupante, oltre al fenomeno prevedibile della resistenza, è la mancanza di nuove ricerche che possano fornire strumenti adeguati alle mutate esigenze, come testimoniato dalla seguente tabella pubblicata dalla BBC:

Come si può constatare è dal 1987 che non vengono realizzati nuovi antibiotici.

Come dichiarato da Dame Sally Davies, e riportato dal Corriere della Sera, la causa di questa situazione è da individuare nelle scelte delle case farmaceutiche:
«Non abbiamo nuove classi di antibiotici dalla fine degli anni ’80 e come singoli farmaci ce ne sono pochissimi allo studio delle case farmaceutiche. Questo perché per gli antibiotici non c’è lo stesso mercato che esiste per i farmaci che curano la pressione alta o il diabete»
La responsabilità delle case farmaceutiche è confermata dalle dichiarazioni del professor Francesco Scaglione, direttore della Scuola di specializzazione in Farmacologia medica all’Università Statale di Milano, riportate nello stesso articolo del Corriere:
…è vero che è necessario sviluppare nuovi farmaci, ma va detto che gli enti deputati all’approvazione di nuove molecole, Fda ed Ema, hanno reso molto difficile e burocratizzata la procedura: per questo lo sviluppo di farmaci è un grosso investimento in termini di soldi e tempo ed è il motivo per cui vengono favoriti settori redditizi come le malattie cardiovascolari»
Dai due esperti intervistati emerge la scelta delle case farmaceutiche di puntare su medicinali per malattie croniche che danno ritorni continuati nel tempo anziché su farmaci come gli antibiotici che, una volta superata l’infezione, non vengono più assunti.

La mancanza di nuovi antibiotici è dunque da addebitarsi alle scelte economicamente convenienti effettuate dall’industria farmaceutica e non da una presunta capacità evolutiva dei batteri.

A questo punto le prospettive che si presentano, esclusa una non dimostrata evoluzione neodarwiniana, sarebbero tranquillizzanti, infatti se si esclude la comparsa di nuovi ceppi di batteri e si considera solo la selezione che isola ceppi resistenti, la produzione di nuovi antibiotici non si traduce in una gara infinita tra i batteri che si evolvono e i medicinali che cercano di adeguarsi, ma in una sempre più completa serie di antibiotici in grado di fronteggiare le varie forme di resistenza.

Si tratta quindi di una guerra che può essere vinta, i batteri non hanno la capacità di evolvere rapidamente e sarebbe possibile fronteggiare tutte le varianti, si tratta piuttosto di una guerra che si rinuncia a combattere perché una vita salvata per guarigione è una vita che non porta più profitto.

Meglio quindi per le case farmaceutiche puntare su malattie che non vengono guarite e che richiedono un trattamento continuato.

Se quindi l’esplodere di nuove e incurabili epidemie è paragonabile come pericolosità ad una minaccia terroristica, le responsabilità di questo terrorismo sono da individuare nelle scelte economiche delle case farmaceutiche.


Fonte Critica Scientifica

1 commento:

Cavaliere oscuro del web ha detto...

Troppi profitti sulla salute umana.
Saluti a presto.