22 settembre 2011

La Sardegna è la Regione più solidale d'Italia



Numeri da primato, organizzazione, formazione e competenza. Attività in tutti i settori. Oltre dieci milioni di ore di lavoro regalate alla comunità.

La Sardegna è in testa nella classifica nazionale della solidarietà: centomila volontari e 1612 associazioni, una ogni mille abitanti. Isola da record per quantità ma anche per qualità. Superata la malattia infantile dello spontaneismo, in oltre trent'anni, la generosità si è fatta sistema, organizzato, attrezzato, competente.
Sono mille le palestre in cui si allena il buon cuore. Davanti al grande pubblico si materializza soprattutto l'impegno nelle tragedie, quando televisioni e giornali raccontano di colonne di mezzi e centinaia di uomini e donne che partono per dare una mano a terremotati, alluvionati, senzatetto con le case distrutte dall'ennesima frana nell'Italia che si sfalda sotto il peso della cementificazione selvaggia. Oppure le facce stravolte nella guerra agli incendiari, tra lingue di fuoco e nubi di fumo. Rischiano, i volontari, e lo fanno gratis. Ovviamente. Così come gli operatori del soccorso, pronti a intervenire con le ambulanze. O quelli che camminano per ore nei boschi alla ricerca di turisti poco avveduti che l'imprudenza trasforma in dispersi. Altri si calano nelle viscere della terra per riportare in superficie appassionati di speleologia, spesso ricchi di interesse ma poveri di esperienza, rimasti intrappolati in grotte o cunicoli sotterranei.

Tanti, forse la maggioranza, però, si danno da fare giorno dopo giorno, con una devozione che non accende i riflettori, non fa notizia. Sono quelli che si prendono cura di anziani soli, di emarginati, di migranti, di disabili, di minorenni allo sbando. Sfamano gli affamati, mitigano disagi, materiali, morali, mentali. Non rimuovono macerie ma solitudini, non accendono sirene ma speranze. Confortano, sostengono, indicano una via, un percorso a chi ha perso l'orientamento nel labirinto della vita.
Degli altri ci si può occupare in tanti modi. C'è spazio per tutti. La gamma delle opportunità la raccontano anche le statistiche. I volontari attivi costantemente sono quarantamila. A loro si aggiungono sessantamila occasionali. Gente che fa quel che può e quando può. Perché non se la sente di essere totalmente assorbito, magari deve badare di più alla famiglia, oppure il lavoro gli concede pochi momenti liberi. Alle schiere a tempo pieno e a tempo parziale si sommano novantamila soci sostenitori. Persone che non operano ma contribuiscono finanziariamente alla vita delle associazioni. Importanti e molto: senza soldi l'entusiasmo si spegne nell'impotenza. Grazie ai sostenitori e ai finanziamenti pubblici, chi sta sul campo regala alla collettività circa dieci milioni di ore. I settori di intervento vanno dal sociale, in senso ampio o strettamente assistenziale e sanitario, all'ambiente e alla protezione civile. Ma prestazioni gratuite contribuiscono a tenere in piedi anche il sistema dei beni e delle attività culturali. Ci sono poi le battaglie per i diritti civili e il cosiddetto advocacy , cioè il farsi carico di una giusta causa, sostenerla direttamente per tutelare qualcuno o qualcosa.
Cosa spinge le persone a riunirsi in un'associazione di volontariato? Le motivazioni sono più di una e sono cambiate nell'ultimo quarto di secolo. Stando a una ricerca a campione di Sardegna Solidale, la ragione principale (53,1 per cento, 58,1 nei capoluoghi) è affrontare una problematica sociale che riguarda persone o gruppi svantaggiati o ai margini . Il 34,6 per cento (24,8 nei capoluoghi e 42,7 negli altri comuni) è spinto invece dal voler migliorare la qualità della vita e la sicurezza dei cittadini . La percentuale più bassa (12,3 di media ma 17,1 nei capoluoghi e 8,4 negli altri centri) è quella di chi vuole trarre un qualche vantaggio diretto e perciò intende affrontare una problematica sociale che riguarda direttamente i fondatori . Non si tratta di egoisti ma persone che, il più delle volte, condividono un problema, frequentemente devastante, di cui dovrebbe farsi carico la collettività. Pensiamo al calvario delle famiglie dei malati psichici, dei portatori di handicap o, in generale, di chi non riesce a dare ai propri cari l'assistenza di cui avrebbero bisogno.
La prevalenza delle motivazioni muta rispetto all'anzianità delle associazioni. Per quelle nate fino al 1987 è più elevata (62,2 per cento) l'aspirazione ad occuparsi delle fasce sociali deboli. Appena il 4,9 per cento intende invece intervenire su questioni che coinvolgevano i fondatori. Nelle associazioni sorte dopo il 1996 l'attenzione agli svantaggiati si riduce al 49,5 mentre sale, dal 32,9 al 34,1, la disponibilità per migliorare qualità della vita e sicurezza e lievita (dal 4,9 al 16,5) la determinazione ad agire su aspetti sociali che toccano direttamente gli appartenenti al gruppo. [...]

Dall' Unione Sarda 20 settembre 2011

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