26 settembre 2012

I videogiochi che aiutano i bambini malati

Chi ha detto che i videogiochi sono una cosa inutile? Un articolo pubblicato sulla rivista ‘Science Translational Medicine’ ha passato in rassegna diverse esperienze in cui i miglioramenti sulla salute sono stati visibili e misurabili e ha scoperto che possono aiutare pazienti affetti da diverse malattie, quali tumori, diabete e asma.
Gli ‘exer-games', i giochi cioè che stimolano le attività cerebrali e fisiche, sono stati sperimentati nella neuro-riabilitazione dei pazienti malati di Parkinson, dopo l’infarto, nel dimagrimento dei bambini obesi o sottoposti a terapie oncologiche, dimostrando effetti positivi sull’umore, sul metabolismo e in grado di stimolare i circuiti neuronali sopiti.
All’avanguardia in Italia in questo campo è il professor Fulvio Porta, primario di Oncoematologia pediatrica dell’ospedale civile di Brescia e presidente dell’Associazione Italiana di Ematologia ed Oncologia Pediatrica (Aieop), che da 37 anni si occupa sia della cura dei piccoli malati di cancro che della loro salute psicofisica.
Nel suo ospedale, per esempio, si sta lavorando sul biofeedback. Si tratta di uno strumento che attraverso dei sensori rileva i parametri fisiologici del sistema nervoso correlati allo stress e li trasforma in immagini e suoni. I pazienti possono così prendere coscienza del loro stato psicofisico e possono cercare di migliorare le reazioni dell’organismo che lo allontano dal benessere. Per il momento è stato sperimentato su dodici ragazzi tra i 9 e i 17 anni, che hanno partecipato a cinque incontri a cadenza settimanale. I risultati sono da avvalorare ampliando la sperimentazione, ma hanno dimostrato una diminuzione dei livelli di stress anche a distanza di tempo.
Insieme a questo sono stati analizzati diversi altri giochi per malattie croniche, sia di tipi statico sia che stimolano direttamente a fare esercizio: “I videogiochi terapeutici possono spingere i progettisti verso nuove direzioni – scrivono gli autori – riuscire a soddisfare i bisogni della terapia e la necessità di interessare il paziente è molto difficile, ma gli studi hanno provato che questa e’ un’ottima terapia non farmacologica in diversi casi”.
Fonte takecareblog.iljournal.it

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