Due popoli diversi che hanno condiviso lo stesso destino: sono stati perseguitati, espulsi, discriminati, massacrati. Moni Ovadia racconta gli ebrei e i rom nello spettacolo “Senza confini. Ebrei e Zingari”, che ieri all’Anfiteatro dei Giardini pubblici – ha chiuso la ventiduesima edizione di "Ittiritmi", la rassegna di musica etnica e world music dedicata quest’anno al tema dei migranti. «Per duemila anni ebrei e rom sono stati popoli senza terra, hanno mostrato al mondo che si può essere popolo senza bisogno di confini, burocrazia, eserciti, barriere – spiega l’artista - e proprio per questa loro proposta straordinaria sono stati destinati allo sterminio. Poi qualcosa è cambiato: gli ebrei sono entrati nel salotto buono, hanno scelto una terra da abitare, una nazione. I rom invece no, e quindi su di loro gravano ancora pregiudizi e discriminazione».
Così, riflettendo su questa scissione in una storia fino ad allora quasi parallela, Moni Ovadia e la sua orchestra di otto elementi – di cui fanno parte anche quattro musicisti rom di nazionalità rumena – portano in scena la loro cultura e la loro gente: «Il razzismo è la forma mentale più infima che mai sia stata partorita dalla parte miserabile dell’uomo – continua Ovadia – sia come ebreo sia come essere umano cerco di usare tutti i mezzi che ho per combattere ogni forma di discriminazione e violenza. Sono un uomo di spettacolo, così ho scelto il teatro e il linguaggio universale della musica. Ottimi strumenti perché capaci di toccare corde più profonde rispetto ad altri». “Senza confini” è fatto di musica, canzoni, riflessioni, storie, spunti umoristici da entrambe le culture. Un recital che tra barzellette ebraiche e i ritmi incalzanti delle sonorità zingare e klezmer vuole dar voce soprattutto al “popolo degli uomini” (in lingua romanes rom significa “uomo”) che però fatica a trovare vera accoglienza in Europa, dove le comunità rom sono spesso emarginate e oggetto di pratiche contrarie al diritto internazionale come gli sgomberi forzati: «Questi episodi dimostrano che l’Europa non è cambiata, e l’Italia non fa eccezione, anzi mostra il suo peggio – afferma l’artista – si è creata l’emergenza rom che non esisteva per scatenare la parte più debole del Paese e varare poi leggi ignobili come quella sui clandestini». E il discorso si allarga allora a tutti i migranti nel senso più ampio del termine - da chi chiede asilo a chi cerca un diritto, una terra, un lavoro - al centro di "Ittiritmi": «Fra i migranti ci sono stati anche 30 milioni di italiani in un solo secolo, 4 milioni e mezzo clandestini. A loro vanno aggiunti i greci, gli spagnoli, gli irlandesi. L’Europa dovrebbe capire che gli immigrati sono una grandissima risorsa. Basta guardare gli Stati Uniti, e l’apporto che hanno avuto i migranti nella costruzione del Paese». E a chi dice che i rom non possono integrarsi perché troppo diversi dal resto degli Europei, Ovadia risponde:
«Si diceva la stessa cosa degli ebrei, non eravamo integrabili perché non riconoscevamo Gesù Cristo. L’Occidente e tutte le culture dominanti hanno considerato l’uniformità un valore e la diversità un disvalore, invece è un grande valore perché dinamizza anche le uniformità.
Noi abbiamo bisogno di questa diversità, non di persone che scimmiottano l’Occidente. In realtà noi siamo tutti rom, la parte meno conformista di noi è rom. Ed è questo il motivo per cui molti li odiano, perché vorrebbero strappare la corda che li tiene legati e non ci riescono».
fonte La Nuova Sardegna
Foto Udine20.it
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